Dan Flavin: Untitled 1996 |
Scritto da Romano Baratta | |
Nonostante l'opera non sia recente ma risale al 1996, anno della morte di Dan Flavin (sua ultima opera) vi proponiamo l'opera, perché in nessuna recensione si è mai parlato del suo aspetto tecnico, oltre, a presentarlo a coloro che ne ignoravano l'esistenza. Un intervento illuminotecnico di questa portata merita di essere ricordato. Molto probabilmente il primo intervento con luce colorata artificiale in una chiesa. Sicuramente una grande opera d'arte contemporanea che affascina tutti coloro che vanno a visitarla. Dan Flavin (1933-1996) è per antonomasia l'artista dei tubi fluorescenti o come molti lo definiscono in modo improprio, l'artista dei neon. Per le sue opere d'arte si è avvalso sempre di queste lampade, sia a luce bianca che a luce colorata. Nelle prime opere utilizzava il modello T38 della Sylvania per andare ad utilizzare nelle sue opere più recenti le classiche T28. Nell'installazione Untitled 1996 in Santa Maria in Chiesa Rossa a Milano ha utilizzato le T28 della Osram, dei modelli di lampada più facilmente reperibili in Italia per le varie sostituzioni. La Chiesa, opera dell'architetto Giovanni Muzio, è a croce latina con tre navate di cui soltanto quella centrale con volta a botte, mentre le laterali a soffitto piano. L'abside è di classica impostazione romanica, come d'altronde quasi tutta la chiesa, con l'altare che si staglia su di essa. La chiesa, pur opera di un grande architetto del novecento, non ha nulla di eccezionale se non nella sua manifestazione pura di volumi ed elementi architettonici semplici tale da conferirgli una severità tipica di Muzio. L'eccezionalità di questa chiesa però è nell'atmosfera dell'ambiente prodotta dall'intervento luminoso di Dan Flavin. Un vero spettacolo per i fedeli e tutti coloro che si lasciano invadere dalle frequenze d luce. La navata è invasa da luce blu mediante 2 file composte di 24 tubi fluorescenti da 36 watt disposti sulla base della volte a botte. Il transetto da luce rossa con due file di 8 tubi da 36 watt in proseguimento delle file rosse. L'abside, invece, con luce “dorata” come indicato dalla Fondazione Prada, committente dell'opera, è composta da un totale di 6 file di tubi da 36 watt delle quali 4 gialle e 2 ultraviolette (luce di wood) disposte sui due lati (3 file per lato, 2 di tubi gialli e 1 di ultravioletta). Definirla luce dorata non è corretto, ma neanche del tutto sbagliato, dato che la luce ultravioletta permette di ottenere una brillantezza che solo la luce gialla non avrebbe potuto creare. La luce ultravioletta evidenzia il bianco delle pareti e gli permette di brillare nonostante la radiazione gialla diffusa. L'effetto generale è intenso. Invadere l'abside di luce dorata ha lo stesso intento dei dipinti medievali, quelli con i fondi oro: simboleggiare l'atemporalità del regno dei cieli e dei suoi abitanti. Simbolo di immortalità e quindi dell'eternità di Cristo risorto. La luce che accompagna il fedele, sembra quasi voler ripercorrere la vita di Cristo. Il blu la vita, il rosso la passione e il dorato la resurrezione. Oppure semplicemente lo scorrere del giorno attraverso i colori della luce solare, dal blu al rosso. L'ultimo gesto creativo di un artista che stava rivivendo la sua vita guardando la morte.
(Courtesy: Fondazione Prada, Milano) - (Foto di Paola Bobba)
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