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Romano Baratta
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Intervista a Piero Castiglioni PDF Stampa E-mail
Scritto da Romano Baratta   

Piero Castiglioni - foto di Saverio Lombardi VallauriPiero Castiglioni è indubbiamente tra i più importanti Lighting designers al mondo. Progettista eccellente di ambienti e apparecchi d’illuminazione. Non ha bisogno di ulteriori presentazioni.

Lo abbiamo intervistato per voi...

Romano Baratta: Buongiorno arch. Castiglioni, ci piacerebbe sapere come ama descriversi... è evidente che è conosciuto da tutti, ma questo sarebbe un modo per renderla un po’ più vicina a tutti noi...

Piero Castiglioni: Buongiorno a Voi! Sinceramente mi considero un architetto elettricista. Mi sono laureato all’inizio degli anni ’70. Mio padre Livio, architetto anomalo, progettista di apparecchi radiofonici, inventore di giochi elettroacustici ed illuminotecnici che trasformava in progetti ed installava in luoghi pubblici e privati, stava sperimentando le prime lampade alogene importate in quegli anni in Italia. Abbiamo iniziato a studiare le caratteristiche delle nuove sorgenti interessanti per le dimensioni ridotte, la durata di vita ed efficienza maggiore rispetto alle normali lampade ad incandescenza, disponibili in vari wattaggi, offrivano inoltre la possibilità di essere collegate in serie o in parallelo. L’intuizione di poter considerare gli spazi dell’architettura come apparecchi riflettori portò a utilizzare le sorgenti “nude”, salvo i dispositivi di alimentazione. Nacquero così i primi elementi di quello che sarebbe diventato il sistema “Scintilla”. Cavi di sostegno conduttore speciale (appositamente fabbricato per il nostro studio-laboratorio), bacchette di rame conduttore, catenelle in argento, distanziatori in vetro pirex costituirono la struttura dei vari modelli del sistema: su cavo, a soffitto, a parete, monolampada o aggregati di lampade. Per alcuni anni abbiamo quindi prodotto artigianalmente gli apparecchi dopo aver progettato la collocazione negli spazi (gallerie d’arte, show-room, negozi ma anche abitazioni) e infine seguivamo l’installazione e il collaudo. Per me è stato il conseguimento di una seconda laurea.

La sua carriera è tempestata di straordinari progetti, da teatri a musei, da boutique a palazzi di rappresentanza... insomma ha contribuito in modo splendido a illuminare le notti dell’umanità; ci può raccontare qualche aneddoto, una storia particolare, magari un lavoro alla quale è particolarmente legato o che l’ha colpito più di altri. Problemi insormontabili che ha superato con destrezza o ... insomma qualunque cosa, tanto tutto ciò che racconterà sarà interessante!

Illuminare le notti dell’umanità! A pensarci bene occorre molta più energia per illuminare la vita degli uomini: abitazioni e scuole, uffici e stabilimenti, teatri e cinema, palestre e stadi, ospedali e case di cura, negozi e shopping center, musei e gallerie d’arte, tutti i luoghi in cui si svolge la vita dell’uomo, spesso anche nelle ore diurne, necessitano di energia elettrica…. Il Museé d’Orsay è stato indubbiamente il lavoro più impegnativo, fu inaugurato nel 1986, dopo sei anni di cantiere. Molte e complesse furono le tematiche da affrontare: dalla trasformazione di una stazione ferroviaria in Museo, all’ordinamento delle opere e dei percorsi, all’ottemperanza delle normative per la buona conservazione dei beni artistici e culturali, all’adeguamento ai limitati carichi energetici dati dalla Municipalitè… Inoltre l’allora conservatore Mr. Laclotte e l’Arch. Aulenti operarono la scelta di non avere apparecchi e dispositivi di illuminazione in vista per dare privilegio assoluto alle opere esposte all’interno di una architettura importante e complessa. Abbiamo dovuto studiare sistemi integrati alle pareti: gole e travi che servissero da elementi riflettori e diffusori per nascondere le sorgenti, utilizzare le nuovissime e scarsamente affidabili (per temperatura di colore spesso non omogenea) lampade a ioduri, calcolare valori di illuminamento costanti e non superiori ai raccomandati 150 lux dalle normative per ambienti tra loro molto diversi per forme e dimensioni…. Insomma una vera e propria palestra illuminotecnica. Inoltre l’impresa francese che doveva essere nostro collaboratore al progetto non era preparata ad assumere il ruolo ed era causa di supplementari fatiche. Un aneddoto potrebbe essere costituito dal signore revisore dei calcoli illuminotecnici che scoprì il sistema di ottenere il buio più buio del buio: addizionava i fattori invece che moltiplicarli: così data 100 emissione di una lampada, il decadimento di flusso del 30%, un vetro che assorbe il 50%, un elemento rifrattore che taglia il 30%, riusciva ad arrivare a – 10 lux. Indubbiamente con Orsay abbiamo conseguito una terza laurea!

1986 - Parigi - Museo D'Orsay - Arch. G. Aulenti

Cosa preferisce illuminare più di ogni altra cosa o cosa preferirebbe illuminare nei prossimi mesi?

Tutto o niente, non ho desideri ed amo la casualità che ha una sua logica. La committenza arriva per meccanismi strani, incontrollabili: l’eco di un lavoro, un articolo di giornale, una chiacchierata fra amici. Ogni progetto ha una propria peculiarità, una storia interna, una destinazione e una ragione. Ogni lavoro è diverso dai precedenti per collocazione geografica, spazi e volumi, colori, committente, uomini destinati a vivere gli ambienti. Ogni lavoro ha una propria storia e percorrere questa storia è sempre affascinante e utile.

L’arte, secondo lei, rappresenta l’avanguardia della cultura? Quindi, gli artisti che utilizzano la luce possono essere visti come punta della ricerca per lo sviluppo del campo del lighting design? Mi riferisco a Olafur Eliasson, James Turrell, Dan Flavin, ecc.

Credo che attualmente l’avanguardia della cultura siano le scienze, l’economia, le tecnologie: l’arte appartiene ed esprime il proprio tempo e gli artisti, liberi dai condizionamenti dati dalla logica dell’uso e della funzione, possono dedicarsi alla ricerca pura, sperimentare e proporre immagini, opere, eventi con leggerezza e creatività. Vorrei ricordare un pioniere: Lucio Fontana con l’installazione “Arabesco Fluorescente” scultura spaziale luminosa ed illuminante per lo scalone di onore del Palazzo della Triennale in occasione della IX esposizione, nel lontano 1951.  Dan Flavin, Turrell, Eliasson e i tanti altri che, con poetiche e obiettivi diversi, si sono appassionati alla luce, considerata un materiale di costruzione dell’opera d’arte, hanno contribuito, spesso in maniera determinante, alla presa di coscienza delle infinite possibilità che il mezzo luce offre, come questa possa far mutare la lettura di volumi e superfici, suscitare emozioni, focalizzare attenzione. Il proliferare, a volte anche eccessivo, di Festival della luce, di impianti con variazione dinamiche e cromatiche in interni ed esterni è in parte conseguenza della sperimentazione che gli artisti hanno operato. La progettazione di “luce obbiettiva” d’altra parte non esiste in quanto propone il concetto che di “obbiettivo” dà il soggetto progettista.

2002 - Milano - Teatro degli Arcimboldi - Gregotti

A proposito di sperimentazione, cosa ci dice di quell’esaltante prova illuminotecnica avvenuta al Teatro Comunale di Firenze nel 1980 per il Prometeo di Skrjabin?

La prima cosa da dire è che ci siamo divertiti moltissimo Bruno Munari, Davide Mosconi ed io. Divertiti come dei ragazzacci a fare svenire di paura l’elettricista capo del Teatro Comunale riempiendo il palcoscenico con ogni sorta di sorgente esistente e disponibile e con tutto ciò che potesse far luce: dalle saldatrici ai fili al nikel-cromo generalmente impiegati anche nelle stufette domestiche. Le varie tonalità di colore erano dato dalle diverse colorazioni che le lampade presentano al momento dell’accensione e che variano fino all’andata a regime delle stesse. Le lampade al sodio, ad esempio, presentano un colore arancione carico che, con il processo di riscaldamento della sorgente, va schiarendo fino a raggiungere una tonalità giallo-dorato. La messa in sincrono delle varie lampade, mostrando l’intero ciclo di accensione, per comporre una contro-partitura cromatica, è stato laborioso e complesso. A parte il divertimento, il lavoro è stato quindi interessante sopratutto nel processo di traduzione di una partitura musicale per grande orchestra in un poema di effetti cromatici, dati naturalmente dalle lampade, senza ricorrere all’uso di gelatine o filtri, che si svolgevano, senza soluzione di continuità, sotto gli occhi degli spettatori e del direttore di orchestra. Quest’ultimo, durante la prova generale, a chiusura del poema sinfonico, sull’ultimo colpo di tamburo, è stato sorpreso e abbagliato dal gran finale di luce dato da una sequenza di flash montati in batteria, ed è cascato all’indietro dal podio! Un po’ preoccupati abbiamo aiutato il maestro ad alzarsi invece lui confessava di non essersi mai divertito tanto!

Ci sono in giro vari eventi legati alla luce, come per esempio le Luci d’artista di Torino. Come definisce questo evento e che valore assume nella cultura illuminotecnica?

Purtroppo non sono stato a Torino ma ho partecipato ad altri eventi del genere, sia come progettista che come spettatore. Penso che tutte le iniziative che coinvolgono la sfera pubblica, il tessuto urbano, i cittadini siano momenti preziosi di riflessione sul potenziale delle nostre città: le manifestazioni collettive contribuiscono a prendere coscienza della qualità, dell’attenzione, dell’amore e del senso di appartenenza che alla “casa di tutti i cittadini” è dovuta.

2002 - Milano - Palazzo Marino - Sala Alessi

Cosa ne pensa delle dichiarazioni della Moratti sull’illuminazione del Duomo di Milano? Vanno illuminati i pinnacoli, è meglio lasciarlo così o altro?

Sono del tutto impreparato. Ahimè! Non sono ancora andato a vedere l’attuale illuminazione del Duomo e di quello che scrivono i giornali mi fido fino a un certo punto. Noto che il Duomo e la piazza antistante sono veramente “la fabbrica del Duomo” alla quale non si riesce a dare una configurazione definitiva. Progetti urbanistici, di arredo urbano, di illuminazione, si succedono senza trovare una soluzione definitiva producendo interventi episodici e “temporanei” mentre la piazza rimane una grande explanade vuota, abitata da piccioni, venditori ambulanti, cittadini seduti sulla gradinate del sagrato, occasionali gazebo che promuovono una qualche iniziativa, ogni tanto una pista di pattinaggio “on ice”…. In questa situazione generale il problema del pinnacolo più o meno illuminato sembra, forse, un elzeviro da addetti al settore dell’illuminotecnica più che un problema urbano.

Ha illuminato la sala del parlamento a Palazzo Montecitorio: cosa si prova sapere di “dare luce alle decisioni” dei nostri governanti?

Tra il serio e il faceto direi che “dare luce alle decisioni” è un lavoro impossibile. Seriamente, e non solo per il timore reverenziale che il luogo suggerisce, il lavoro svolto per l’aula di Montecitorio è stato molto impegnativo, di grande responsabilità, di lunga preparazione. In occasione del restauro della grande vetrata di Giovanni Beltrami e delle travi lignee della copertura siamo stati incaricati del progetto di un nuovo impianto di illuminazione in sostituzione di quello esistente che era diventato nel corso degli anni un aggregato di apparecchi “provvisori”, invasivi e tutto sommato poco efficienti. L’aula era coperta totalmente dai ponteggi dei restauratori ed abbiamo preparato un doppio progetto: il primo, ha previsto un grande telone bianco a copertura del soprastante cantiere, un’enorme vela riflettore che lasciva fuoriuscire batterie di proiettori montati su tiges: questi per luce riflessa dalla grande vela bianca illuminavano l’aula. Il risultato di questo impianto provvisorio era veramente molto bello: l’aula veniva invasa da una luce bianca, brillante, diffusa e omogenea, senza ombre. Intanto provvedevamo a sostituire i proiettori dell’originario impianto, nascosti nel doppio lucernario di copertura, con proiettori di nuova generazione, maggiore potenza, opportunamente orientati. Abbiamo inoltre dotato l’impianto di un dispositivo che regolasse e mantenesse costanti i livelli di illuminazione all’interno dell’aula nel corso delle ore del giorno e delle condizioni climatiche. Alla ripresa dei lavori, dopo la pausa estiva, i parlamentari sono tornati nell’aula restaurata e illuminata: destra e sinistra si sono trovate d’accordo, tutti potevano lavorare democraticamente nella “giusta luce”!

Una domanda sul suo passato. Quanto ha influito nella sua carriera il cognome altisonante che porta? Le è stato di peso o d’aiuto? Ha mai pensato agli esordi di usare uno pseudonimo?

Sinceramente non mi sono mai posto il problema. Sono cresciuto insieme ad un nome e cognome come tutti. Inoltre quando ero piccolo, nell’immediato dopoguerra, “i fratelli Castiglioni” erano giovani, lavoravano molto, in studi modesti, il divismo non era ancora esteso al settore dell’architettura e del nascente design italiano, erano considerati dei professionisti, magari un po’ artisti, magari un po’ matti ma niente più. Ci siamo voluti bene, come in tutte le famiglie normali ed abbiamo operato le nostre scelte di vita in assoluta libertà. Le archi-star sono un fenomeno relativamente recente.

2005 - Milano - Intel - Piero Castiglioni - Diablo - ing. Castaldi

Progetta apparecchi di illuminazione. Quale fase del progetto preferisce? Progetta personalmente le ottiche?

Il momento a tutt’oggi più sorprendente è quando arriva improvvisa l’idea, chissà dov’era un momento prima, e il momento dopo è materializzata in qualcosa che ha una forma e che potrebbe servire a risolvere un problema specifico. I passaggi successivi, la verifica della sorgente, della curva fotometrica, della temperatura di colore, la messa a punto dell’ottica e dell’alloggio dei dispositivi di alimentazione fanno parte di un iter progettuale da percorrere con paziente disciplina attraverso, lampadine e cavi volanti, schizzi e disegni, modelli e prototipi funzionanti.

La serie del cestello è tra le più copiate. Cosa ci dice a riguardo?

Veramente abbiamo maturato una lunga esperienze nel “settore copie”: prima del sistema “Cestello” era stato ampiamente copiato anche il sistema “Scintilla”. Bisogna dire che con il trascorrere degli anni la produzione degli imitatori aumenta: una volta erano solamente nazionali, adesso sono internazionali, organizzati, globalizzati. Temo che non ci sia soluzione se non a lungo termine con una importante campagna culturale da un lato e un’azione decisa da parte dei governi dall’altro. Cerco di spiegare: la lampada “Arco” dei Castiglioni ebbe una notevole serie di imitazioni da parte di piccole imprese, soprattutto della Brianza e Sergio Gandini (allora amministratore delegato di Flos) scoprì che” le copie facevano vendere meglio l’originale”. Rimane una verità in questa affermazione ed è una verità culturale: un pubblico preparato, che conosce ed ama il design e il valore del prodotto non si accontenta di una copia, magari risparmia, ma alla fine porta a casa l’originale. Quindi occorre preparare culturalmente il mercato. D’altro lato la concorrenza, soprattutto quella degli emergenti paesi asiatici, non può essere combattuta singolarmente, designer per designer, impresa per impresa, nazione per nazione, occorre fissare delle regole comuni ed internazionali ragionevoli e ben fatte di controllo dei mercati e soprattutto dotarsi degli strumenti perché vengano rispettate. Da un certo punto di vista, un po’ narcisistico in verità, l’essere copiati può considerarsi anche un grande onore.

2003 - Ferrara - Castello Estense

Cosa preferisce di più: illuminare o progettare apparecchi?

Entrambi. illuminare è un’attività più comune, quotidiana. Il disegno di apparecchi nasce più raramente sollecitato quasi sempre da un’esigenza precisa di progetto e quando la produzione di mercato non offre soluzioni soddisfacenti. Come per il sistema “Scintilla” nato “su misura” anche il sistema “Cestello” nacque “su misura” per Palazzo Grassi sia per esigenze sia architettoniche che illuminotecniche: la diversa geometria delle sale, la presenza di soffitti fortemente decorati, l’impossibilità di utilizzare le pareti destinate ad accogliere le opere, la necessità di avere un impianto flessibile in grado di servire mostre eterogenee per materiali e dimensioni portarono alla soluzione architettonica di inclinare la parte alta della controparete in cartongesso, che conteneva gli impianti, per alloggiare degli apparecchi, aggregati di lampade, tutte orientabili e in numero tale da poter raggiungere e coprire uniformemente le pareti, il centro delle sale, valorizzare i soffitti. Siccome apparecchi del genere descritto ancora non erano disponibili sul mercato abbiamo provveduto a colmare la lacuna! Il sistema, divenuto produzione di serie, nel corso degli anni è stato ampliato per tipi di modelli e tecnologicamente aggiornato viene utilizzato in ambienti museali, di lavoro, commerciali ed anche domestici. Quando AEM chiese l’illuminazione esterna della sede milanese, un palazzo austero ritmato dai cornicioni delle finestre nacque l’idea di un apparecchio con emissione di luce a ventaglio e di un’ottica che permettesse di proiettare un ampio fascio in un'unica direzione: lo studio portò alla produzione di una piccola serie di apparecchi dedicati all’edificio della municipalizzata milanese. Seguì un lungo processo di ingegnerizzazione del prodotto che ha portato all’attuale configurazione del “Radius” Anche il “Glim cube” piccolo apparecchio a led destinato agli esterni è nato “sul campo” dettato dall’esigenza di illuminare un grande parco articolato in sentieri e piattaforme sul promontorio di Portofino dove la luce aveva il compito non solo di illuminare i percorsi ma anche segnaletico e scenografico. È nata una piccola famiglia di apparecchi con singole sorgenti o più sorgenti aggregate, da picchetto o da parete corredate da ottiche costituite da vetri ottici per il controllo dei fasci (stretto, medio, largo) che possono essere letteralmente “seminati” ed assolvere a tutti i compiti richiesti nei parchi e giardini: segnalare i percorsi, esaltare la vegetazione, servire le attività umane. Il “Diablo” è nato per l’illuminazione della pista ciclabile del lungolago a Mantova, ha la forma di una bitta, può servire anche da seduta, permette un’illuminazione a 360°…

2005 - San Pietroburgo - Chiesa sul Sangue versato

Avrei voglia di farle altre mille domande, ma mi fermo con questa: il progetto più particolare che sta realizzando or ora?

Una grande imbarcazione per dei signori che non sono soddisfatti dell’illuminazione standard che i cantieri nautici offrono e desiderano ambienti in cui la luce partecipi come elemento caratterizzante gli spazi, che rispecchi la personalità dell’armatore, che abbia una precisa riconoscibilità anche nelle ore notturne. Abbiamo così progettato l’illuminazione interna ed anche esterna, come solitamente si fa per le abitazioni sulla terraferma, ma con un linguaggio tecnologico marino.

Un saluto ai lettori di Lighting Now!

Ricordo l'assunto di Mies van der Rohe "Less is more" e ringrazio per l'attenzione.

 

Commenti  

 
0 #1 Denise 2012-07-10 12:22
E' sempre bello leggere qualcosa di Castiglioni
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