Intervista a Marinellia Pirelli |
Scritto da Gisella Gellini | |
Desidererei ricordare e comunicare la scomparsa di una grande Artista della Luce: Marinellia Pirelli, con l'articolo del nostro primo incontro. Gisella Gellini
In occasione dell’evento di Villa Panza, ho avuto modo di incontrare per la prima volta Marinellia e mi sono resa conto di avere di fronte non solo una grande artista della luce ma anche una donna dotata di grande personalità e umanità che, parlandomi con semplicità, mi ha trasportata nel suo percorso artistico comunicandomi come la luce è diventata per lei negli anni un nuovo linguaggio espressivo, un secondo pennello. L’evento di Villa Panza, realizzato dopo quasi trent’anni di silenzioso lavoro da parte dell’artista, ritiratasi nel frattempo dal mondo artistico nazionale e internazionale, presenta anche lavori che appartengono all’attualità e che mostrano il suo impegno e gli studi portati avanti: Pulsar (1969-70), Meteore (1970-73), Stanza di Luce-Nuvole di Luce (1969-2003-2004). Questa villa è il luogo ideale per apprezzare le opere di Marinellia che mi parla come se ci conoscessimo da tempo. E questo sarà il primo di una serie di incontri. Marinellia Pirelli: Il mio primo lavoro l’ho pubblicato nel 1969. Solo nel ‘73, a Basilea ho incontrato Dan Flavin: era lì un suo tubo fluorescente bianco e pezzi di Donald Judd (Minimal Art). C’era con me Lucio Amelio che mi disse: “tu che ti interessi della luce, perché non prendi quest’opera di Flavin?” - “Si, risposi, così la porto a casa e i figli me la rompono subito!”, e allora presi il minimal infrangibile di Judd. Marinellia sorride raccontando questo episodio. MP: Un’altra opera che ho visto abbastanza presto è stata quella di Maurizio Mochetti (che ho poi conosciuto a Roma), proprio qui a Villa Panza alla fine degli anni Sessanta, mi pare: una luce che attraversava una stanza a intermittenza irregolare. Io non conosco tutti i lavori fatti con la luce in questi anni: Dan Flavin più di tutti. A mio parere lui ha toccato anche i problemi del colore, ha fatto un discorso che in un certo senso è di pittura. In Italia negli anni Cinquanta infuria la lotta fra artisti astratti e figurativi: qui avviene la frattura, anche con risvolti politici. C’è il Grande Cinema, che è l’altro strumento che può essere adoperato per raccontare ma è anche “Luce e Movimento”. Il mio operare ha legami con il cinema: doppi legami. Pensavo che la pittura non avesse più lo scopo di raccontare, come una volta, le storie dell’uomo. Giotto rappresenta e riccona così Masaccio, ma negli anni ‘50 la pittura può ancora raccontare? E come? Ci sono fotografie per rappresentare il Reale e cinema per raccontare. La pittura, ossia l’Arte Figurativa, deve riaffermare le proprie qualità specifiche: la pittura parla alla sensibilità, che non è solo raccontare fatti, storie, sogni ma esprimere se stessa, cioè approfondire, capire, scoprire le radici del linguaggio, dei segni e i propri valori estetici. L’altro strumento per raccontare poteva essere il cinema: mi ci sono avvicinata - mi interessava moltissimo - però l’ho visto non tanto e solo come strumento per raccontare, quanto come strumento che può creare immagini. Per me il primo impatto è la luce che si muove e poi ... ecco! ... Le immagini che non sono racconto di qualcosa, ma frutto della nostra fantasia, rappresentano semplicemente se stesse. Non credo ci sia da dire di più. Nei secondi anni Sessanta ho conosciuto un po’ tutti gli artisti, allora giovani: a Roma avevo una bella amicizia con Kounellis, a Milano con Franco Francese, Fabro, Carla Louzi, Gianni Colombo. Ognuno ha intrapreso la sua strada. Io ho fatto immagini di luce con i miei “marchingegni”. Nasco pittrice, il mio primo quadro è del ‘44. Fino al ‘60 sono stata pittrice figurativa, poi ho scoperto le possibilità di lavorare con la luce. Qui non c’è proprio più l’invito a raccontare: con la luce nascono immagini da vedere. Gisella Gellini: Ritorniamo alla tua prima immagine con la luce... MP: Nel ‘69 - in realtà l’ho cominciato nel ‘68 perché ho impiegato più di un anno di lavoro a realizzarlo - ho presentato l’Ambiente, questo che ora è presente a Milano presso la Galleria Neubourg di Franco Toselli; poi a Roma alla Galleria Nazionale di Arte Moderna, mentre era direttrice Palma Bucarelli, poi alla mostra nazionale “Al di là della pittura” a San Benedetto del Tronto e poi a “Prospekt” a Düsseldorf. Allora proiettavo un film che avevo girato con particolari accorgimenti di inquadratura del fotogramma: vi era una stretta relazione fra la ripresa e la proiezione e riferimenti indispensabili fra la superficie del fotogramma e lo spazio modulato dagli schermi plurimi per la proiezione. Avevo approntato anche - allora - il primo “Pulsar”, volevo realizzare sculture immateriali, sculture di luce, quindi per primo dovevo visualizzare la luce. In una stanza tutta buia facevo prove su prove, con fili sospesi, piccole sorgenti di luce e molta pazienza. Spiego, quando tu vedi in una stanza buia un raggio di sole che entra da una fessurina della finestra e attraversa lo spazio buio, sai quel filo sottile luminoso che è quasi un vortice di pulviscolo fatto da migliaia di corpuscoli che brillano: così lo visualizzi molto bene, ecco è la luce, quella lì! Così la vedi. Allora una cosa analoga la proponi, fai disegni, ma non è tanto facile. E’ una cosa abbastanza diciamo ... rompitesta! Avevo una stanza con le pareti e il soffitto dipinte di nero e al buio provavo ... provavo ... Ci vuole una luce piccola, o meglio una sorgente di luce puntiforme. La luce della candela fa un’ombra perfetta, è la sorgente di luce più piccola disponibile: così adopero lampadine da 6 Volt (sono le lampadine che vengono usate per gli esperimenti di ottica) ma da 40 Watt; sono potenti, insomma, il rapporto fra wattaggio e voltaggio è alto; piccole ma potenti. L’immagine risulta molti nitida. Invece quando hai molta luce, fai tanto chiaro ma non fai l’immagine nitida, la bruci nella luminosità; poca luce ti fa inoltre immagini che puoi controllare... Ma questi discorsi non li so fare bene, né intendo fare una spiegazione scientifica, anzi mi scuso per la mia imprecisione. Naturalmente ho continuato anche a disegnare e dpingere, quando sono nati i miei nipoti ho tentato di farne i ritratti. Quando sono andata nella sua casa-studio, ho visto questo quadro e devo dire che quello che lei ha chiamato “tentativo” è riuscito splendidamente. Guardiamo insieme il suo primo catalogo “Vita intensa e luminosa di Marinellia Pirelli”, edito da Skira, che è la sua biografia. Mi mostra il suo primo periodo figurativo che è iniziato nel ‘44, e poi tutto il discorso iniziale della luce dal ‘56 al ‘59, e lo studio di Roma dove ha iniziato a lavorare con la luce, il modellino dell’ambiente con i pannelli quadrati al centro e rettangolari ai lati, dove ha iniziato a ragionare sul rapporto ripresa e proiezione. Mi fa vedere progetti che non ha ancora realizzato ma pronti da realizzare, forse un giorno: il primo Pulsar presentato alla Galleria “Futura” di Modena; tutta una serie di fotografie di rotazione di luce fatte da Fabio Donato, fotografo di Napoli e i disegni per studiare la luce, poi i disegni delle rose e dei nipotini. Sotto i miei occhi passano anni di studio e di lavoro portato avanti con passione e una grande volontà di realizzare. GG: Usare la luce per fare l’immagine è diverso da illuminare? MP: Qui c’è la grande differenza tra illuminare e adoperare proprio la sorgente luminosa per fare l’immagine e siamo in pochi a farlo, e qui nasce l’equivoco, anche. Se poi pensi che la luce che noi possiamo usare è prodotta dall’elettricità, puoi immaginare la confusione! Ci avviamo con Marinellia a vedere la prima stanza della mostra. La musica che il figlio Pietro Pirelli ha composto per lei fa da sottofondo ed è come essere trasportati in un altro mondo. Mi vengono in mente le parole di Gabriel Garcia Marques “La luz es como el agua, uno abre el grifo y sale” (La luce è come l’acqua, si apre il rubinetto ed esce). Siamo in una stanza buia dove ci sono i Pulsar. MP: Quella che vedi è luce, c’è una lente in movimento: è un modulo primario. Quello che vedi non è un’applicazione ma l’elemento semplice. GG: Tu ci sei arrivata perché volevi rappresentare la luce? MP: Si certo; se si fuma una sigaretta, il fumo va dove c’è il raggio di luce e lo evidenzia: raggio di luce come raggio di sole che attraversa la stanza buia, questo raggio non ha fine. Io mi sono fatta costruire questi banchetti ottici, hanno un carter con lampadine da 6 Volt e 40 Watt, un trasformatore, un motorino che sposta la lente. La luce attraversando la lente si modifica. Modificando il rapporto fra questi elementi si ottengono moltissime immagini, io scelgo e fermo l’immagine che desidero. La somma dei movimenti di rotazione della luce definisce lo spazio. Con questi strumenti ho studiato i colori nella diffrazione: nella parte centrale dell’immagine c’è il colore più intenso, il movimento della lente lo presenta sfumandolo fino a che scompare. Quella lassù che si sposta è una luce riflessa - dice indicando le immagini che compaiono, si muovono, si modificano sul soffitto e sulle pareti. Sono affascinata non riesco a staccare gli occhi da queste immagini. Entriamo nella seconda sala, dove è installata “Stanza di Luce”. MP: Sei mai entrata in questa stanza che alcuni hanno chiamato Labirinto? GG: Certo è una sensazione molteplice! Ci sediamo per un po’ e poi giriamo intorno alla Stanza di Luce e siamo investite dalle immagini astratte dipinte a mano direttamente sui vetrini delle diapositive che vengono proiettate; e si tratta di più di 2000 diapositive! MP: I quadri sono al centro. La luce sorgente si apre a cono e in questo cono ho costruito i quadrati, dunque lungo la diagonale della stanza; lateralmente invece ho costruito i rettangoli per completare lo spazio, sempre con incroci ad angolo retto. In questo retcolo si avvicendano immagini dirette, immagini virtuali, immagini riflesse, perché il materiale che ho usato per gli schermi è trasparente, riflettente e specchiante insieme. Spesso Marinellia ripete che c’è troppa luce, che l’ambiente dovrebbe essere completamente buio. Come ci muoviamo all’interno e all’esterno le immagini proiettate cambiano, le mie sensazioni si modificano trascinandomi in un mondo fantastico. Mi spiega che c’è voluto molto tempo e molta pazienza per trovare il materiale giusto per i pannelli dell’ambiente luminoso. Ha iniziato quest’opera con un modellino costruito a casa. MP: Questa mostra nelle scuderie Grandi di Villa Panza è nata quando Giuseppe Panza è venuto nel mio studio e ha visto il mio lavoro e ha deciso che si doveva fare subito una mostra qui alla villa: questo è successo l’autunno scorso e a marzo, ecco qui la mostra. GG: Quello che proietti è sempre astratto? MP: Ora si, ma all’inizio avevo girato due film apposta per “Stanza di Luce” (allora si chiamò “Film Ambiente ‘69”). In quei film c’erano anche immagini di acqua, fuoco e sculture. Dovrei restaurare questi film e dovrei proiettarli con il vecchio sistema del cinema: si recupererebbe un fatto eccezionale che riguarda il movimento. I movimenti lineari di una normale ripresa cinematografica proiettati in questo sistema di schermi risultano sempre eccentrici e concentrici; fanno capire che si lavora nello spazio e questa è una cosa bella che dobbiamo al cinema, i movimenti veramente zampillano. GG: Ma dove sei rimasta nascosta tutti questi anni? Marinellia sorride e racconta che dopo la morte del marito, avvenuta nel ‘73, è andata in un frutteto del veronese a coltivare pesche; ma ora scopriamo che ha continuato anche a dipingere, disegnare, fare progetti con la luce. Esco dall’incontro con la sensazione di aver scoperto qualche cosa di unico e mi domando con quale altra cosa riuscirà a stupirmi Marinellia alla sua prossima mostra alla Permamente di Milano.
(L'intervista è stata pubblicata origiariamente dalla rivista Neon sul numero di settembre/ottobre 2004) Marinellia Pirelli è nata a Verona nel 1925 ed è deceduta lo scorso 29 giugno. |
< Prec. | Pros. > |
---|