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Luci alla 53° Biennale di Venezia PDF Stampa E-mail
Scritto da Daniela Lussana   

logo BiennaleE’ arrivata la Biennale di Venezia e noi di Lighting Now! non potevamo mancare all’appuntamento per seguire la consolidata unione arte e luce.

Non siamo stati delusi nemmeno questa volta ed in più occasioni abbiamo avuto modo di constatare che questo legame funziona.

 

Girando tra le calle veneziane, all’interno della Galleria Internazionale d’Arte Moderna a Ca’ Pesaro, abbiamo trovato una fascinosa mostra di Bernardí Roig dal titolo “Shadows must dance”. Questo artista ci ha da tempo abituati all’utilizzo della luce nelle sue opere ed in questa occasione veneziana la luce è presente in vari lavori, è una luce che viene usata come un oggetto e che ha un forte contenuto simbolico. Chiaro il significato dell’opera che incontriamo sulle scale principali dell’edificio museale dal titolo “L’uomo della luce”, si tratta di una scultura in poliestere e resina che riproduce le sembianze di un uomo che sorregge sulle proprie spalle, per facilitarne il trascinamento, un pesante mazzo di lampade fluorescenti unite da un fascio di cavi elettrici.

Bernardì Roig: L'uomo della Luce

 

Un’altra opera la si può scovare nella fessura creata da due porte semiaperte di una delle stanze del museo. La stessa scultura antropomorfa della prima installazione questa volta ci da le spalle ed è illuminata da una luce fluorescente, è rappresentata nell’azione di porgersi verso una porta attigua con la finalità di aprirla. Il titolo dell’opera svela l’azione riprodotta “Esercizio per la fuga”.

Bernardì Roig: Esercizio per la fuga

Se ci spostiamo nel punto focale della biennale, l’Arsenale, troviamo un’installazione di Pae White, un’artista californiana. Uno dei locali del grande edificio è stato invaso da immensi lampadari, illuminati da lampade a incandescenza, proposti in differenti forme e dalla particolarità comune di essere rivestiti di mangime per uccelli. E’ questa un’installazione che unisce più sensi, la luce stimola il senso della vista, l’olfatto è attivato dal forte odore del becchime, che è lo stesso materiale che fa fronte al senso del tatto, il suono dei canti degli uccelli, riprodotto in loco da alcuni esperti, punta al senso dell’udito.

opera di Pae White

Questa biennale ci concede altro ancora, e, per le opere che andiamo ora ad affrontare offre anche delle polemiche.

Uno storico dell’arte, non può non aver notato, entrando in una delle sale dell’Arsenale, una strettissima similitudine tra i lavori di un artista cileno con quelli storici di un conosciuto artista italiano. Sto parlando del padiglione del Cile e l’artista in questione è Iván Navarro (Cile 1972). Una parte della sua ricerca arriva in Italia, nella sua forma estetica, con ben 30 anni di ritardo. Navarro lavora anche con il mezzo luce ed alcune delle opere che oggi propone sembrano quelle realizzate da Paolo Scirpa negli anni 70.

 Ivan Navarro

Andiamo a descrivere le opere in questione. L’opera “Death row” (il braccio della morte) è composta da 13 porte di alluminio che hanno al proprio interno delle luci al neon, ognuna di un diverso colore, lo spessore in realtà è ridotto ma uno specchio sul fondo fa si che si abbia una sensazione di infinito, che le luci si riproducano senza fine all’interno dei box. Un’illusione ottica, un utilizzo della luce per trascendere la realtà. La porta è una metafora, essa viene considerata mezzo di comunicazione, mezzo di passaggio tra due mondi, tra due stati, tra quello che ci è noto e quello che è ignoto, all’interno di essa vi è la luce che è la rappresentazione dell’abisso visto come dispositivo mentale. Il gioco degli specchi e delle luci viene utilizzato per ingannare il nostro occhio e noi stessi facendoci percepire una realtà diversa, ci mostra un infinito facendoci credere che noi vi possiamo accedere ma che non è così.

Ivan Navarro: Death row

Lavora sempre su questo tranello visivo l’altro lavoro che è soggetto del paragone tra gli artisti. Questa volta è un pozzo che ci illude, come per le porte, anche il pozzo è di basso spessore, il nostro occhio ingannato da specchi e luci riflesse percepisce la scritta di tubi fluorescenti “BED”, che da anche il titolo all’opera, al suo interno senza mai fine.

Foto storica di una esposizione di Paolo Scirpa

Come ho prima anticipato, anche Paolo Scirpa negli anni ’70 ha realizzato opere che si presentano nei fatti simili a quelle appena descritte. Queste installazioni sono da lui chiamate “Ludoscopi”, utilizzano anch’esse luci al neon e specchi al fine di riprodurre all’infinito delle forme di luce colorata. Queste opere, realizzate in varie misure e sagome, nonché progettate per adattarsi a molteplici luoghi urbani, attirano lo sguardo verso un falso infinito. I “Ludoscopi” prendono il posto delle tele, nella cultura artistica di Scirpa; la luce è nel gergo pittorico il colore che, in più rispetto a quest’ultimo, permette al quadro di divenire elemento tridimensionale. La loro finalità è quella di analizzare e sperimentare lo spazio ed il suo rapporto con la luce.

 Paolo Scirpa: Ludoscopio

Andando oltre questo discorso, ci soffermiamo su un’altra interessante opera che Navarro ha presentato per questa biennale veneziana.

Si tratta di “Resistance” un’opera realizzata quest’anno. E’ una bicicletta con ad essa collegata, stile risciò, una struttura, composta da luci fluorescenti, a forma di sedia che, all’atto della pedalata, si accendono. E’ complementare a questa opera un video che rappresenta la bicicletta utilizzata in Time Square (NY), è forte la contrapposizione delle luci commerciali della piazza americana con quelle della sedia della bicicletta attivate dalla forza muscolare del ciclista.

A conclusione del nostro viaggio tra le luci della biennale di Venezia non possiamo non menzionare Peter Greenaway e la sua opera “Le nozze di cana di Paolo Veronese”. Come sempre Greenaway ci stupisce con la sua conoscenza della luce ed i suoi effetti scenici… per noi è un ottimo finale.

 

Il video dell'opera "L'uomo della luce" di Bernardì Roig

 

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