Cittą e Luce. Rappresentazione e progetto
Scritto da Francesca Zanella   

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Siamo tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 del Novecento, due decenni in cui viene portata a compimento la critica al modello urbano definito dalla Carta d’Atene, una critica che si è espressa in una articolazione di posizioni che inevitabilmente si rispecchiano nel ruolo che di volta in volta è assegnato alla luce, nella sua duplice natura di veicolo della visione e strumento di rappresentazione che appartiene sia alla sfera del naturale che dell’artificiale.

 

Recentemente Neumann ha individuato in questo stesso decennio l’ultima significativa frattura nella storia del progetto di luce1: quella della crisi energetica che, ancora una volta, ha portato in modo traumatico a ripensare alla condizione metropolitana. All’interno di un andamento ciclico, in cui è spesso assente il consapevole recupero di un’esperienza passata, lo studioso propone, quali antecedenti delle attuali tendenze nel progetto della luce, le sperimentazioni condotte negli anni ’20 e ’30 del XX secolo. Se cerchiamo tuttavia di impostare l’analisi del ruolo della luce a livello urbano, ci rendiamo conto che a quella esperienza è necessario affiancare le sperimentazioni e riflessioni critiche condotte nella seconda metà del ‘900. A partire dagli anni ’50, infatti, si ripensano i rapporti tra architettura e spazio pubblico ponendo al centro dell’attenzione le modalità di fruizione. Nell’ambito di alcune ricerche artistiche la città è assunta non solo come oggetto di rappresentazione ma come luogo di azione. Alla fine degli anni ’60 architetti ed urbanisti si confrontano con la ricerca artistica per trovare una risposta alla crisi del progetto. E’ all’interno di questi territori che la nostra ricerca si è addentrata per individuare una chiave di lettura dell’attuale rinnovato interesse per la luce e nuovi elementi di riflessione2.

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Il progetto della luce

La metropoli tecnologizza l’esperienza del paesaggio e – nel suo doppio movimento centripeto e centrifugo, territoriale e metaterritoriale, materiale e immateriale – lo assorbe nella propria potente macchina comunicativa, capace di con-fondere internalità ed esternalità del mondo dentro l’economia politica e lo scambio simbolico di una stanza. L’espandersi dell’umano progredire in forme fisiche e immaginarie ha infine invaso e sconvolto ogni tipo di territorio. Il modo di vedere si è stratificato in mille piani di rappresentazioni, in in-finite cornici. Ma a sua volta la scena si è fatta ricca di senso rispetto allo spettatore, lo ha sorpassato, ridotto a rovina di sé. Le forme estetiche, in questo progressivo ribaltamento, non tengono più. Il paesaggio si è dissolto come si sono dissolti gli strumenti del progetto, quindi non “progettazioni ma introiettazioni”3.

"L'immagine notturna deve essere prospettica e sensoriale. Non deve tentare di riprodurre la visione diurna, ma al contrario identificare la città, riaffermarla nella storia e nella sua vita".4


"Per creare un'immagine notturna armoniosa e coerente della città e non una disparata giustapposizione di realizzazioni, non basta censire i monumenti da illuminare; occorre comporre, ritmare, differenziare con ombra e luce i quartieri che la compongono"5.

Introiettazioni o celebrazione della città6, in questa chiave potremmo leggere l’attuale orientamento su cui si basa il progetto di luce nella metropoli.

I piani di luce urbani sono uno strumento messo a punto negli anni ’80 del ‘900, ma che ha avuto una particolare diffusione a partire dagli anni ’90, dopo la fortuna del progetto pilota di Lione Ville lumière, congiuntamente al fiorire di istituzioni, associazioni professionali e di ricerca7, e che ripropongono ancora una volta la necessità del superamento della logica quantitativa del progetto di luce, puntando sull’orientamento e sulla messa in valore del paesaggio naturale e urbano8.

Se partiamo dall’analisi del report di CERTU (1998)9 sul progetto urbano di luce, comprendiamo come la luce sia divenuto un mezzo attraverso il quale cercare di dare una forma alla città contemporanea, attraverso il quale rintracciare l’identità, attraverso il quale agire sulle sensazione creando ‘atmosfere’ che rendano partecipi tanto gli abitanti, quanto chi fruisce degli spazi urbani. Questo ruolo non è limitato alla sfera del progetto illuminotecnico, ma è rafforzato da una sempre più diffusa tendenza da parte di municipalità ed istituzioni culturali al coinvolgimento di artisti e performers che della luce fanno uno degli strumenti privilegiati di lavoro per la realizzazione di interventi, con finalità che vanno dalla trasformazione della città in laboratorio notturno permanente e in scena aperta, alla riscoperta e rilettura di luoghi e monumenti10. Spesso è difficile individuare il limite tra interventi che si basano su riflessioni sulla città e operazioni di marketing urbano basate su letture stereotipate. In questo contesto il progetto di luce, che deve rispondere ad istanze sempre più pressanti come quella della sicurezza, del risparmio energetico e del rispetto dell’ambiente, si avvale, per la creazione di spazi pubblici sicuri e al contempo attraenti e riconoscibili, dei metodi dell’indagine sociologica11, ma soprattutto del recupero della componente sensoriale quale filtro primario per l’orientamento nello spazio e quindi nella metropoli.

E’ forse superfluo sottolineare come questa enfatizzazione del ruolo della luce sia una delle risposte alla domanda di modelli progettuali della città post-moderna, attraverso la creazione di un’immagine armoniosa e una ricerca di messa in scena metropolitana, attraverso uno strumento ‘immateriale’ come la luce.

I precedenti sono da ricercare all’interno dell’art urbain, nelle teorie di Poëte che negli anni ’50 trova in Francia un continuatore in Auzelle, ma anche nelle ricerche di Lynch, la cui lezione è recuperata soprattutto nella teoria della ridefinizione della forma urbana attraverso la risemantizzazione dei landmark. Indubbiamente possiamo rintracciare le ‘radici’ del contemporaneo progetto di luce nella cultura dei primi decenni del ‘900, quando in Francia nascono le prime associazioni che sviluppano ricerche nell’ambito dell’Art de l’éclairage. Oppure, sempre negli anni ’20, in Germania dove si definisce il progetto della Lichtarchitektur12. Non dobbiamo, inoltre, ignorare il ruolo delle ricerche condotte oltreoceano; ricordiamo il passaggio già citato di Mumford che auspicava che il sistema di illuminazione dal basso realizzato da Basset Jones rivoluzionasse l’illuminazione di parchi ed edifici pubblici, ironicamente notando che se ciò non fosse avvenuto sarebbe stata la riprova “che i costruttori di piedistalli per lampioni ci tengono in pugno”13. In tutti i passaggi è sempre stretta la relazione tra il campo della innovazione tecnologica e quella del progetto14. A partire dagli anni ’50 le sperimentazioni dei primi decenni del XX secolo che avevano condotto alla creazioni di luoghi artificiali notturni diventano una lezione di riferimento per il progetto urbano15. Negli anni ’60 Gyorgy Kepes sosteneva che i due poli del buio e della luce non dovessero far perdere di vista la presenza della gradualità dei passaggi, e proprio su questa gradualità, che è varietà, dovesse puntare il progetto, ottenendo il contrasto con differenti intensità di luce, collocando le luci a differenti altezze. Per Kepes la luce aveva un valore emozionale prima che funzionale: “L’impiego delle luci per definire e caratterizzare spazi architettonici e complessi paesaggi urbani non è ancora una disciplina. Non abbiano ancora principi creativi basati su una profonda conoscenza della luce e degli apparecchi d’illuminazione e su una chiara idea dei metodi da seguire per portare su un piano più elevato l’arte dell’utilizzazione della luce.” Creare uno scenario notturno continuo, unitario che corrisponda ai caratteri strutturali, spaziali e sociali della vita urbana, ricondurre gli effetti casuali e isolati all’interno di una sequenza coordinata in cui i singoli elementi “si definiscono reciprocamente attraverso il contrasto dei loro caratteri.” 16 Queste le indicazioni di Kepes nel 1961, destinate a trovare continuità nell’attuale orientamento di alcuni importanti studi di éclairagistes che intervengono in una scena urbana notturna popolata con una sempre maggior frequenza anche da architetture di luce.

I livelli di intervento variano da progetti puntuali ad altri a scala territoriale; alla ricerca di uniformazione e standardizzazione del progetto ‘scientifico e razionale’ della tradizione classica dell’illuminotecnica urbana, si sostituisce la ricerca di varietà e di interpretazione dei luoghi. Fra gli innumerevoli casi ricordiamo due progetti pubblicati da Lighting Academy17. Il lighting master plan che Srdja Hrisafovic ha realizzato per il quartiere di Bascharshija, a Sarajevo, che evidenzia il tentativo di fare emergere la struttura tipica delle città orientale, disegnando con la luce tutti gli edifici rilevanti per la vita economica e culturale della città. In questo caso è interessante la volontà espressa di rendere leggibile a distanza il quartiere collocato in fondo ad una valle, illuminando strade e piazze e architetture di cui si identificano sia le facciate che i tetti con una luce bianca. Un altro piano è quello di Vesa Honkonen e di Julle Oksanen che hanno riprogettato l’esistente sistema di illuminazione di Fiskars, in Finlandia. Se il piano per Bascharshija ridisegna la struttura urbana puntando su edifici, strutture monumentali della comunicazione come i ponti, i presupposti del progetto di Honkonen e Oksanen sono legati all’analisi del particolare rapporto con luce e oscurità in questa parte della terra. Nella scheda di presentazione si afferma che i progettisti hanno iniziato dall’oscurità, ‘ascoltando’ la natura, osservando gli edifici e quindi le persone; attraverso questo processo hanno individuato tre temi su cui impostare il progetto: Movimento, Edifici, Natura, per ognuno dei quali definire una struttura differente di luce. In un’area del globo in cui il confronto con condizioni estreme di oscurità e luminosità, si cerca di ridefinire attraverso la luce la struttura urbana interpretandone luoghi e strutture.

 

Direzioni di ricerca

La dimensione notturna è pertanto diventata centrale nella condizione urbana contemporanea quale segnale del superamento dell’opposizione giorno/notte e come conseguenza del processo di artificializzazione degli stili di vita urbani, al punto che la luce artificiale sembra avere perso il ruolo di elemento di shock e spiazzamento che aveva avuto dalla fine dell’ottocento sino all’apice della Las Vegas studiata da Venturi. Oggi è anche entrato in crisi il modello del ‘Bagno elettrico’ di Coney Island analizzato da Koolhaas: non si pretende forse più “la conversione sistematica della natura in un servizio tecnico”18. Oggi si riflette sull’oscurità non più semplicemente intesa come polarità negativa della luminosità, ma come condizione percettiva riscoperta. La consapevolezza è anche quella di una convivenza di aree di diversa distribuzione della luce, indice di una iniqua suddivisione delle risorse. Si cerca di superare attraverso il progetto quella immagine frammentaria della metropoli delle avanguardie in cui la luce portava la dimensione temporale, simbolo di velocità, recuperando la dimensione naturale della transizione graduale.

Si sostiene che “les espaces urbains vont solliciter d’autres sens. Il s’agit de la vue bien sûr, mais aussi de l’ouïe, de l’odorat, du toucher, voire de la sensation de chaud ou de froid. Sans parler de la kinesthésie, qui est la sensation du corp dans l’espace”, e’ quindi necessario tenere conto delle molteplici dimensioni percettive, e del movimento, del déplacement, della variazione tra giorno e notte e delle stagioni: “l’éclairage nocturne va introduire du chargement en faisant varier l’espace.”19

Rispetto ai precedenti di Lynch, che sulla base degli studi della Gestaltpsychologie applicati al campo urbano, aveva cercato una risposta alla crisi della città modernista, assistiamo ad una sorta di riscatto dell’approccio sensoriale integrale nei confronti dell’ambiente:

“‘ambiance’ est ce que nous percevons de ce qui nous entoure, en fonction de notre sensibilité de l’instant"20.

Ambiance / atmosfera è quindi un termine chiave di una lettura e di un progetto che si basa sulla ricerca dell’armonia raggiunta attraverso la sollecitazione sensoriale e i processi della memoria individuale e collettiva. Ma come è possibile verificare anche da alcuni contributi qui presentati21, le direzioni della ricerca artistica restituiscono anche lo stato di disagio nei confronti di territori urbanizzati in cui il degrado, la marginalità spesso sono segnalati attraverso la luce. Luce del racconto fotografico, ma anche luce che segna le tracce, che definisce i confini, una luce utilizzata per fare emergere dal tracciato cartografico i luoghi del lavoro22. Dovremmo guardare per comprendere in che termini analizzare il ruolo e il significato della luce a queste ricerche: esse infatti sollecitano a una rilettura dei luoghi di margine, dei terrains vagues dove la stratificazione di usi e di storia non è ancora stata cancellata da operazioni di riqualificazione, oppure degli spazi interstiziali, degli in-between, su cui si stanno sviluppando filoni d’indagine sia in ambito degli studi socio-semiotici23 che urbanistici24.

Virilio in Città panico25 parte da un passaggio dell’Infanzia berlinese di Benjamin per introdurre una riflessione sulla condizione metropolitana contemporanea e pone il problema delle modalità dell’orientamento, del sovvertimento dei limiti tra centro e periferia dei processi di costruzione e ricostruzione. La luce anche in questa condizione riveste un ruolo fondamentale. Esistono inoltre condizioni che portano ad un sovvertimento della valenza positiva della tecnologia: i black out degli anni ’70 e degli anni ’90 hanno contribuito a un ripensamento nei confronti della condizione metropolitana e allo sfruttamento delle risorse. La valenza positiva della luce come strumento di visione è capovolta nei conflitti bellici, come nelle città europee oscurate durante i due conflitti mondiali quando i fasci di luce della difesa contraerea negavano la città ribaltando il rapporto tra luce ed ombra. Una condizione percettiva spiazzante che gli ultimi conflitti hanno mediatizzato, da Belgrado a Bagdad. Virilio parla dei processi di riscoperta della città che possono essere indotti anche da presenze luminose. A proposito dei meccanismi di distruzione e ricostruzione, come non pensare al caso di Berlino, dove il muro ha segnato una cesura anche nella qualità della luce26, oppure delle città bombardate in cui la luce ridefinisce percorsi e luoghi come nella Beirut di Belgiojoso.

Oggi dobbiamo quindi parlare di una presenza nella città di una luce connaturata alle architetture pensate come corpi luminosi della notte, altri rispetto alla presenza diurna, di una luce frammentata e convulsa degli schermi al plasma27, nuova immagine piatta della megalopoli post-moderna; di un disegno di luce che si sovrappone alla città, cercando di fare emergere la memoria e riattribuendo significati, oppure che diventa lo strumento principale, all’interno di una dimensione di vita principalmente notturna, per la creazione di spazi artificiali: le eterotopie di qui parlava Foucault,28 i luoghi del loisir, nati dall’evoluzione del modello di Coney Island e di Las Vegas.

Dobbiamo parlare di assenza ricercata29 da parte di chi ricerca strade alternative ai miti del positivismo e della modernità recuperando una dimensione naturale del paesaggio notturno, oppure dialogando con chi si relaziona con luoghi e spazi senza luce, o con chi non può ‘conoscere’ attraverso la luce come nel progetto Regards aveugles di Perrine Lacroix nel quartiere Moncey di Lione in occasione della Fête des lumières del 200330.

In tutto questo si ripropone la riflessione sul rapporto natura/tecnologia con una sorta di capovolgimento; si ritorna alla natura che non impone più la sua “dittatura” (Ville radieuse), ma che ora rappresenta un modello di rigenerazione.

Non sembra possibile interpretare questo panorama attraverso le polarità luce/ombra, razionale/irrazionale, centro/periferia. Il confronto tra le ricerche conferma la necessità di porre in primo piano l’indagine sulle modalità di reazione tra opera, luogo, ambiente e individuo.

 

(Tratto da F. Zanella, Città e luce. Rappresentazione e progetto, in Città e luce. Fenomenologia del paesaggio illuminato, pubblicato in occasione della mostra, Reggio Emilia, 18 ottobre – 8 novembre 2008, Festival dell’Architettura, 4, Parma, Festival dell’Architettura Edizioni 2008, pp. 8-25).

 

Note

1 D. Neumann, Luminous buildings. Architecture of the night, in Luminous buildings Architecture of the night, ed. M. Ackermann and D. Neumann, Stuttgart, Cantz 2006, pp.24-29.

2 Rimando al saggio di Ilaria Bignotti che si è occupata del ruolo della luce nelle ricerche artistiche.

3 A. Abruzzese, Il paesaggio del flâneur, in F. Zagari, Questo è paesaggio. 48 definizioni, Roma, Moncosu 2006, p.146.

4 Ethique des concepteurs lumière, L'urbanisme lumière, dalla voce Piano urbano del Vocabolario di Robert-Max Antoni (1992) nel sito di Art Urbain (www.arturbain.fr). 5 R. Narboni,La lumière urbaine citato nella voce Piano urbano del Vocabolario di Robert-Max Antoni (1992) nel sito di Art Urbain (www.arturbain.fr). Narboni è fondatore dell’agenzia Concepto nel 1988, ha fondato inoltre l’Agenzia Concepteurs lumière Sans Frontières è stata fondata da Roger Narboni, è autore di numerosi piani di luce e di numerosi saggi sul progetto di luce tra cui ricordiamo La lumière et le paysage, Paris, Groupe Moniteur 2003.

6 M. Perniola, Celebrare la città, in Eterotopia, saggi di M. Foucault e altri, Milano, Mimesis 1994, pp.55-61.

7 Dar conto del proliferare di associazioni professionali e di ricerca che negli ultimi decenni si sono affiancate alle storiche Società di illuminotecnici è impresa ardua. Un utile strumento di partenza è il sito della Lighting academy (http://www.lightingacademy.org) in cui vengono recensiti i più significativi progetti di luce che sono organizzati nelle categorie... (una classificazione che dà conto della estensione e della specializzazione che oggi ha raggiunto il progetto di luce). Un altro importante repertorio di informazioni è il sito della Luci Association, associazione internazionale di municipalità che si sono ‘messe in rete’ per uno scambio di competenze oltre che per promuovere lo strumento del Lighting masterplan. Per l’Italia ricordiamo i contributi di Chiara Aghemo che tra l’altro ha curato il Rapporto annuale dedicato alla illuminazione del “Giornale dell’architettura” novembre 2007 e inoltre S. De Ponte, Architetture di luce. Luminoso e sublime notturno nelle discipline progettuali e di produzione estetica, Roma, Gangemi 1996.

8 Anche su questo campo ci limitiamo a ricordare fra i numerosi contributi Made of ligt, esposizione riba, Londra 2004 (http://www.madeoflight.com/index_flash.htm) e il catalogo a stampa Made of light. The art of light and architecture, Basel, Birkhäuser 2005; “Rassegna”, 2007, n.86 numero intitolato Naturale e artificiale. La luce nell’architettura; Bright. Architectural illumination and light installations, Amsterdam, Frame Publisher 2008; C. Fagone, Icone lucenti. Nuovi territori dell’arte, Milano, DBE 2008.

9 Le paysage lumière, pour une politique qualitative de l’éclairage urbain, Lyon, CERTU 1998.

10 Sulle linee di ricerca artistica si veda quando scrive in questo volume Ilaria Bignotti. Ricordiamo il ruolo pioneristico della città di Torino con Luci d’artista, cfr. Sculture di luce. Luci d’artista a Torino, Torino, Umberto Allemandi 2001, seguita da altre esperienze come il festival della luce di Berlino e la Biennale internazionale della luce, Luzboa, di Lisbona.

11 Cfr. R. Narboni, Night sociology, in “Anno luce”, 2007, II, pp.32-45.

12 Cfr. W. Oechslin, L’architettura della luce, in “Lotus”,1993, n.75, pp.8-30.

13 L. Mumford, Passeggiando per New York. Scritti sull’architettura della città, Roma, Donzelli 2002.

14 R.G.H., Lighting and lighting devices, in Encyclopedia Britannica, vol.10 Chicago London 1981, pp.957-970 e R.W. Di., Light, in Encyclopedia Britannica, vol.10, Chicago London 1981, pp.928-948.

15 Come è stato affermato quelle prime sperimentazioni non avevano trovato un terreno pronto a recepire le idee di una disciplina che fondesse le competenze tecniche degli ingegneri della luce con la volontà di accomunare le teorie dell’Art urbain con i progetti di illuminazione, cfr. B. Barraqué, La lumière à l’exposition, in Paris 1937. Cinquantenaire de l’Exposition internationale des arts et techniques dans la vie moderne, catalogue de l’exposition, Paris, Paris Musées 1987, pp.404-409.

16 G. Kepes, Note sull’espressione e la comunicazione nel paesaggio urbano, in La metropoli del futuro, a cura di L. Rodwin, Padova, Marsilio 1964, ed. orig. New York, G. Braziller 1961, p.165.

17 Portale della Lighting Academy, organizzazione volta alla formazione e ricerca promossa dalla Fondazione Targetti, che costituisce una importante risorsa per informazioni su lighting designers, associazioni professionali, sulla documentazione legata al progetto di luce. Di grande interesse la sezione dedicata alla recensione di progetti classificati secondo tipologia in cui ritroviamo il progetto paesaggistico, monumentale, urbano, espositivo, installazioni e quindi per interni. Cfr. http://www.lightingacademy.org.

18 R. Koolhaas, Delirious New York, New York, Oxford University Press 1978, ed.it. Milano, Electa 2004, cit., p.34.

19 Le paysage lumière, cit., p.69.

20 Ivi, p.70.

21 Rimando alle analisi di Laura Bianconi sul racconto fotografico contemporaneo e al contributo di Ceresoli.

22 In una delle più recenti occasioni di confronto collettivo di ricerche, l’edizione di Manifesta 2008, è continua l’indagine sugli spazi dell’in-between, della marginalità, come nella mappa multimediale di Rupali Gupte e Prasad Shetty dei mulini tessili a Mumbai Multifarious Nows: Mumbai mill land stories (2008). Questa attenzione porta a ripercorrere le vicende a partire dalle ricerche degli anni ’70, cfr. Sguardo periferico & corpo collettivo, catalogo della mostra, Bolzano, Museion 2008.

23 Un esemplare testo di riferimento è Linguaggi della città. Senso e metropoli II: modelli e proposte d’analisi, a cura di G. Marrone e I. Pezzini, Roma, Meltemi 2008, in particolare i saggi di V. Ciuffi, Terrains vagues: il rovescio dei vuoti urbani, pp.184-190 e T. Granelli, Per una semiotica del terrain vague: da luogo anomico a dérive passionale, pp.191-206.

24 Cfr.I. Solà-Morales, Terrain vague (1994), trad.it. in I racconti dell’abitare, Milano, Abitare 1994, pp.74-78.

25 P. Virilio, Città panico, Milano Cortina 2004, ed. orig. Ville panique. Ailleurs commende ici, Paris, Galilée 2004.

26 La sezione della mostra Berlin im Licht sugli anni ’60 e ’70 affronta questo aspetto e questa cesura ha indubbiamente segnato l’immagine notturna di Berlino come dimostrano alcune ricerche contemporanee che insistono sull’idea di una città scarsamente illuminata, anche nella mutevole geografie delle zone monumentali (cfr. Berlin im Licht, heraus. von F. Nentwig, Berlin, Stiftung Stadtmuseum 2008). Segnaliamo a questo proposito il volume in cui Dieter Grube affianca il suo racconto per immagini ad una selezione di descrizioni della città di notte D. Grube, Berlin im licht der Nacht, Berlin, Parthas Gerlag 2007.

27 D. Neumann, Luminous bodies, in Luminous buildings, cit., pp. 82-83.

28 Eterotopia, saggi di M. Foucault e altri, Milano, Mimesis 1994, in cui si pubblica un saggio inedito di Foucault Eterotopia, pp.11-20.

29 Cfr. W. Schivelbusch, Nightfall fear in the street, in Sens of the city. An alternate approach to urbanism, Baden, Lars Mueller pub. 2005, pp.65-75.

30 Cfr. Sensation et émotion: le bénéficie de la lumière: regards aveugles, témoignages d'aveugles sur la lumière: intervention de Perrine Lacroix, quartier Moncey, Lyon 2003, fête des Lumières, 2004, in "Architecture d'aujourd'hui",  2004, n. 351, p.128.