Fabbrica Borroni, da opificio a luogo d'arte |
La Fabbrica Borroni di Bollate (MI) è un ex opifico dove si produceva colla. L'intero complesso risale agli inizi del novecento con la successiva costruzione del corpo anteriore della villa con giardino nel 1935. Nei decenni è stata completamente circondata da edifici e quindi ora si colloca all'interno dell'area urbana di Bollate. Non più operativa come fabbrica, ma riutilizzata per eventi culturali ed esposizione della vasta collezione d'arte contemporanea della famiglia Borroni, è supporto fecondo di uno degli interventi di luce più interessanti nel panorama artistico nazionale nonché di una singolare operazione illuminotecnica di aree industriali. Il collezionista d'arte Eugenio Borroni voleva rendere visibile all'esterno la sua fabbrica. Un intervento che potesse essere leggero ma forte e che restituisse alla cittadinanza un luogo importante per la sua storia. Voleva vestire con la luce il suo edificio. Per fare questo non si poteva che affidare ad un artista data la sua propensione all’arte. L'artista chiamato a modificare l'aspetto notturno della fabbrica è Romano Baratta (1979), che ha operato tramite proiettori a ioduri metallici di diversi fasci d'apertura dalla potenza di 70 watt ognuno accessoriati di apposite gelatine colorate. L'opera è divisa in due parti: la facciata, dove sono visibili fasci di luce blu e verdi alternati su due piani e il portico dove è presente un'avvolgente ed intensa luce rossa e gialla divisa in due aree a mescolarsi in modo denso. Il lavoro è affascinante e visibile anche da lontano nonostante gli alti alberi che delimitano il giardino. Il riverbero invade gli edifici circostanti facendoli partecipare a questo scenario futuristico. L'opera eseguita si chiama Light #6. GlueLight e non ha solo un valore estetico, come succede spesso per interventi di luce, ma ha anche un valore simbolico o meglio, racconta una storia, la storia di uno spazio che ha cambiato vita. L'edificio è stato diviso in una zona esterna, la facciata, con luci fredde (blu e verdi) e una zona interna, il portico, con luci calde (rosse e gialle) a rappresentare un drago con la sua bocca infuocata. Il drago simboleggia la fabbrica stessa nella sua nuova funzione, quella di promulgatore della giovane arte italiana e quindi di “animale” sterminatore di vecchie abitudini e cattivi pensieri del sistema dell'arte nostrano.Questa illuminazione ha la forza di non modificare del tutto l'essenza industriale del luogo, in quanto non utilizza metodi e strumenti tipici delle illuminazioni decorative che vengono realizzate nei vari eventi temporanei, ma è basata su un alternarsi non preciso e apparentemente casuale di fasci di luce dalla diversa apertura. L'utilizzo delle lampade a ioduri metallici con gelatine permette di avere una colorazione un po' sbiadita rispetto ad un eventuale utilizzo di filtri dicroici o di apparecchi a tecnologia led. L'effetto sbiadito ottenuto permette, difatti, di legarsi e penetrare nella facciata rovinata dell'edificio in modo da esaltarla con naturalezza e non coprirla come a voler nascondere un errore per la quale vergognarsi. Un opera che si iscrive di forza come uno degli interventi illuminotecnici di maggiore suggestione e atmosfera. Un esempio per le innumerevoli e squallide aree industriali del nostro bel paese.
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