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Luce, progetto e memoria nel paesaggio urbano contemporaneo PDF Stampa E-mail
Scritto da Elisabetta Modena   

La complessità dei ruoli e dei significati della luce e i suoi aspetti simbolici e rituali hanno da sempre caratterizzato il suo rapporto con la vita e con la storia, con il progetto e con la città.

In questa sede ci interessa accennare alcuni casi in cui la luce nel paesaggio urbano, diviene materia di progetto legata ai luoghi della memoria.

L’architettura, l’arte, il progetto in genere, attingono a questo legame lavorando anche sul significato simbolico della luce come faro che illumina la storia e quindi come identità e memoria.

Accanto ad un uso della luce strettamente legato al progetto urbano e a una funzionalità quotidiana fatta di stratificazioni di significati (progettuali, pubblicitari, sociali, politici ecc…), non sempre decifrabili completamente dallo sguardo abituale, ci sono eventi particolari in cui la città utilizza infatti la luce per commemorare, ricordare o celebrare.

Uno dei casi più evidenti è quello delle luminarie natalizie che annualmente illuminano la città, o ancora dei fuochi d’artificio, la cui antica tradizione si lega ai festeggiamenti di ricorrenze particolari. A questi eventi sono legati profondamente significati archetipici che non sono rintracciabili solamente nella banale constatazione della spettacolarità intrinseca legata alle potenzialità della luce, ma più concretamente al loro rapporto con il trascorrere del tempo e con la sua ritmicità o ancora ad una memoria nostalgica (pensiamo semplicemente alle candeline sulle torte di compleanno o alle candele accese di notte nei cimiteri).

La luce assume un ruolo fondamentale poi nel momento in cui si relaziona con una sacralità religiosa o civile, luoghi culturali, questi, in cui il rapporto con il passato e con la memoria diviene snodo fondamentale.

Ma se è noto come i valori della luce siano sempre stati alla base del progetto dell’architettura religiosa1, dobbiamo considerare come sia sempre esistito anche un suo rapporto con una sacralità civile e pubblica ad esempio nel monumento legato alla memoria collettiva, se è vera l’affermazione di Aldo Rossi secondo cui “l’unione tra il passato e il futuro è nell’idea stessa di città che la percorre, come la memoria precorre la vita di una persona, e che sempre per concretarsi deve conformare ma anche conformarsi nella realtà. E questa conformazione permane nei suoi fatti unici, nei suoi monumenti, nell’idea che di essi abbiamo”2.

A questo proposito è interessante analizzare due casi di studio, due memoriali i cui progetti sono fortemente legati all’utilizzo della luce: il Monumento in Memoria dello sterminio degli Ebrei in Europa di Peter Eisenman a Berlino e il Tribute in light di Ground Zero a New York.

A suggerire l’accostamento alcune considerazioni legate al fatto che si tratta di due monumenti simbolo della nostra epoca, i cui progetti fanno uso consapevole della luce (naturale a Berlino e artificiale a New York), dei suoi significati in rapporto allo spazio e al concetto di memoria.

La poetica e il percorso progettuale di Peter Eisenman per il Memoriale di Berlino mostrano come nella modernità il concetto di monumento sia divenuto più complesso, anche a causa del fatto che i presupposti si basano sulla considerazione che “oggi nessuno può essere sicuro che la sua morte sarà individuale e l’architettura non può più ricordare la vita come faceva un tempo. I segnali che prima erano i simboli di vita e di morte individuali vanno ora cambiati e questo ha forti ripercussioni sull’idea di memoria e di monumenti”3, così come la memoria cui ci riferisce non può più essere una memoria individuale e quindi nostalgica. Riferendosi a Proust si sottolinea come “ricordare l’Olocausto può essere solo una condizione vitale, in cui il passato rimane attivo nel presente. In quest’ottica, il monumento cerca di presentare una nuova idea di memoria che si differenzia dalla nostalgia”4.

Il memoriale di Eisenman, risultato vincitore del concorso nel 1997, è stato inaugurato nel 2005 e si sviluppa su due livelli, uno ipogeo, e uno in superficie che costituisce la parte più spettacolare, composta da 2700 steli monocrome in cemento disposte su una superficie di 20.000 metri quadrati, “su un’area che avrebbe dovuto essere oscurata dall’ombra della Kuppelhalle e scomparire di fronte alle dimensioni della Grossen Platz progettate da Speer, accanto alla cancelleria di Hitler”5.

L’esperienza del Memoriale consiste in un percorso labirintico in cui la mancanza di senso e un’angoscia claustrofobica rendono l’uscita e il contatto con la luce ritrovata un sollievo emotivo. I tagli luminosi delle ombre delle lastre, la luce sovrastante il cammino del visitatore riferiscono direttamente alla tragedia della perdita della ragione: la luce naturale assume in questo progetto caratteristiche drammatiche così come accade, ma questa volta all’interno dell’edificio, nel Museo Ebraico di Berlino di Daniel Libeskind, architetto che ha più volte dichiarato di progettare ispirato dalla luce, e a cui è stato conferito il progetto per la realizzazione delle nuove torri di Ground Zero6.

Il progetto per la ricostruzione delle due torri ha sollevato molte polemiche. Accanto ai memoriali permanenti costruiti in loco, nel marzo 2002 viene realizzata nel cratere di Ground Zero, un’installazione di grande successo: si tratta del Tribute in light7, un monumento ‘effimero’ in cui due potenti fasci di luce azzurra si sostituivano alle Twin Towers, in una foto-grafia, una scrittura di luce nel cuore della metropoli. In questo progetto, da molti considerato di natura puramente mediatica, troviamo però alcune delle caratteristiche fin qui citate.

Significativo il fatto che la risposta morale ad uno degli eventi luttuosi e catastrofici più destabilizzanti del nostro secolo, proprio nel cuore della metropoli più famosa del mondo, sia costituita da un progetto di sola luce.

In un saggio fondamentale, Kevin Lynch a proposito della ‘celebrazione del tempo’, scrive che: “I momenti importanti dovrebbero essere percettivamente rilevanti: così potremmo orientarci nel tempo. Si possono progettare luoghi e eventi in modo che dilatino il nostro senso del presente per il loro carattere fortemente espressivo o per l’evidenza che danno all’attività che contengono.”8 Più tardi aggiunge che “ogni tanto abbiamo bisogno di vivere un presente collettivo intenso, dilatato dalle speranze e dalle memorie di gruppo”9. Lynch specifica poi come effetti luminosi e sonori siano in grado di intensificare le commemorazioni di eventi luttuosi o spettacolari accennando alle feste rinascimentali come quelle inglesi “quadri di luci e movimento” o come le feste con i fuochi d’artificio, come “a Valencia (dove) in primavera si erigono agli angoli delle strade le fallas, grandi e complesse strutture in legno che poi si bruciano durante una notte di festa”10, o ancora come gli spettacoli son et lumière.

Il Tribute in light, ideato da un gruppo di designers (Julian LaVerdiere, Paul Myoda con gli architetti John Bennett, Gustavo Bonevardi e Richard Nash-Gould) e realizzato dalla ditta italiana Space Cannon11, è stato visibile dall’ 11 marzo 2002 per un mese e ripetuta da allora solo per un giorno ogni anniversario.

Particolarmente significative del modo di percepirne il ricordo, sono le polemiche legate ad una possibile strumentalizzazione a fini turistici dell’opera, il cui nome deve essere addirittura cambiato da Torri di luce a Tributo di luce per rispondere alle critiche di chi vedeva una commemorazione più delle architetture che delle vittime12. Il valore simbolico del progetto è subito riconosciuto e le torri di luce vengono definite in vari modi dalla stampa e dall’opinione pubblica13.

In un recente articolo14, Julian LaVerdiere, uno dei progettisti del Tribute in light, risponde alle accuse di chi paragona l’opera, in modo strumentale e in realtà per soli motivi estetici legati all’uso del fascio di luce, ai progetti scenografici di Albert Speer. LaVerdiere propone poi un parallelo tra la Rotunda realizzata da Albert Kahn per Henry Ford nella Fiera di Chicago del 193415 “and Albert Speer’s infamous Cathedral of light that illuminated the Nazi Party Rallies in Nuremberg since 1934”, attribuendo questo similitudine ai rapporti di Henry Ford con Hitler più che a una semplice coincidenza culturale dovuta allo Zeitgeist, per arrivare a controbattere ad alcuni critici che avevano paragonato il Tribute in Light di Ground Zero con la Cattedrale di luce di Speer realizzata con 130 riflettori da contraerea.

Metaphisically, the Tribute in light is similar to the Torch of the Ford Rotonda and the Cathedral of light only in that its psychological intention was to draw vulnerable and depressed citizens together in a state of mystical communion. (…) No icon, no matter however earnest or pure its intent, is free from reinterpretation.”16

Significativo a questo proposito l’utilizzo della luce da parte dell’artista coreana Eun Sook Lee, in un progetto artistico, Vanished Berlin Wall, che ricrea in modo effimero per qualche giorno nel novembre 2007, un altro simbolo legato drammaticamente alla storia come il Muro di Berlino.

Il progetto di illuminazione spettacolare ed effimero ha in effetti una funzione catartica ed emotiva molto forte, e anche forse per la sua forza si è prestato, come nel caso del Tribute, a critiche e strumentalizzazioni politiche. La storia della spettacolarizzazione effimera della luce nasce con le esposizioni universali, da quella del 1851 di Londra con l’erezione del Crystal Palace, che alla trasparenza deve il suo successo, a quella già citata di Chicago del 193317.

La funzione scenografica della luce è del resto coniugata in vari modi, a partire dall’utilizzo che ne ha fatto la pubblicità (basti citare il caso di Las Vegas), fino ad occasioni come i concerti o all’illuminazione degli stadi per eventi sportivi.

Significativo a questo proposito i concetti di uso scenografico ed espositivo della luce che fa Sedlmayr: “Il modo in cui oggi in quasi tutte le città del mondo vengono artificialmente illuminate le architetture, le sculture nei giardini, le composizioni floreali, i quadri nei musei, le merci nelle vetrine dei negozi, gli attori nei teatri, concreta in sé – analogamente al gioco di luce di insegne pubblicitarie stabili o mobili – lo spirito della esposizione e non del teatro”18.

Ma i fasci di luce delle due torri appaiono come fantasmi luminosi nella notte, attori essi stessi in una città che diventa palcoscenico, teatro per la performance dell’effimero: vale la pena di soffermarsi a riflettere sui significati di questa installazione e del suo successo.

L’opera, presentata alla Max Protecht Gallery19, è stata realizzata per colmare un vuoto che era, ed è, un vuoto emotivo, ma anche fisico. Il cratere di Ground Zero, la voragine scavata tra i detriti delle torri, rappresentava il luogo dell’assenza. A seguito del dibattito e delle proposte presentate per colmare questo vuoto e ricostruire, Baudrillard sostiene che “era meglio lasciare una specie di vuoto, di nulla nel cuore della città. Le culture antiche gestivano così degli spazi ciechi, vuoti, che erano il punto intorno al qual tutto ruotava. Allo stesso modo le torri gemelle, che si trovavano in una città piena, satura, avevano l’occasione di avere uno spazio vuoto, veramente vuoto. Come noi, a Parigi, che a un certo momento abbiamo avuto ‘il buco’ delle Halles che affascinava tutti. Poi ci abbiamo costruito sopra, l’abbiamo colmato, abbiamo esorcizzato il vuoto. E quindi, l’idea di ricostruire di per sé non è una questione di estetica architettonica. Mi pare che sia una soluzione facile ma contemporaneamente una soluzione disperata.”20

Il fascino simbolico del cratere, della voragine aperta come una ferita sulla terra ha del resto anche naturalmente un rapporto con la luce: un riferimento visivo immediato può essere l’immagine delle eruzioni vulcaniche, simbolicamente e fisicamente metafora della forza e della violenza della natura.

A sviluppare queste idee è anche James Turrel nel suo Roden Crater Project situato nel Painted Desert (Arizona, USA), un progetto che ha dei punti di contatto con il nostro tema. Si tratta del più grande land-formed work del mondo basato sulla rimodellazione architettonica di un cono vulcanico estinto in cui l’artista statunitense accompagnato da architetti ed astronomi sta progettando ambienti ipogei accessibili e studiati per permettere al visitatore di interagire con la luce del sole, della luna e delle stelle, acuita dal nitore del deserto.

Dal cratere di New York, invece, i fasci luminosi del Tribute raggiungono il cielo e sono visibili dallo spazio nel tentativo di instaurare un ideale rapporto tra cielo e terra. C’è chi si è spinto fino ad ipotizzare una collocazione permanente dell’installazione, ma la forza emotiva dell’evento sarebbe evidentemente affievolita, lo shock visivo21 del flâneur che si imbatte casualmente nell’opera, notevolmente diminuito.

September 10th, 2008, 8:33 PM. (…) I happened to be flying back to New York from the West Coast one year on 9/11 and we were landing around 11PM. As the plane approached the city, we could see the lights from many miles away with the city glowing underneath. The Captain pointed it out and as we all moved over to the left side of the plane to see, he thanked everyone for flying that day. I hope the powers that be find a way to make this permanent tribute. Posted by Rebecca”22.

Queste parole riportano alla mente quelle di Rem Koolhaas che, in Delirious New York, trattando dell’Empire State Building e della sua funzione di ormeggio per dirigibili, definisce Manhattan “una città di fari imprigionati tra le terre emerse”23.

La simbologia mistica cristiana del fascio, è traslata così in questo ed altri progetti in cui il fascio di luce è protagonista, come in Imagine Peace Tower di Yoko Ono24, dedicata a John Lennon, in cui il fulcro di proiezione luminosa è circolare e il fascio di luce si allunga verso il cielo.

E del resto il problema del monumento, rappresentava un tributo non ancora del tutto adeguato per la comunità di New York. A venire incontro a queste necessità è l’effimero con l’estemporaneità di un progetto che chiama in campo i valori simbolici dell’immateriale e del metaforico legame tra cielo e terra.

In conclusione, questa casistica, parziale e lacunosa, è indicativa di una simbologia che la luce assume nella città contemporanea, una simbologia che la vede trasformarsi, da emblema e metafora illuministica della ragione contro l’oscurantismo dell’ignoranza e della superstizione, a riflesso di significati legati al sentimento di identità e quindi alla storia. Le installazioni luminose e i progetti di illuminazione monumentale devono quindi, secondo i trend più attuali, suscitare emozioni e estetiche e spirituali: la luce quindi in grado di rilevare le nostre radici e la nostra identità, ma la luce anche come segno di catarsi e riscatto partecipato della società.

La città della memoria oggi, è quindi luminosa e illuminata, la luce naturale e artificiale è una luce consapevole di memoria e di storia, un simbolo di sacralità civili e moderne.

É è una città spesso sognata e immaginata come scriveva Italo Calvino nelle sue città invisibili: “Le città e la memoria 1. Partendosi di là e andando per tre giornate verso levante, l’uomo si trova a Diomira, città con sessanta cupole d’argento, statue in bronzo di tutti gli dei, vie lastricate in stagno, un teatro di cristallo, un gallo d’oro che canta ogni mattina su una torre.

Tutte queste bellezze il viaggiatore già conosce per averle viste anche in altre città. Ma la proprietà di questa è che chi vi arriva una sera di settembre, quando le giornate s’accorciano e le lampade multicolori s’accendono tutte insieme sulle porte delle friggitorie, e da una terrazza una voce di donna grida: uh!, gli viene da invidiare quelli che ora pensano di aver già vissuto una sera uguale a questa e d’essere stati quella volta felici.”25

(Tratto da F. Zanella, Città e luce. Rappresentazione e progetto, in Città e luce. Fenomenologia del paesaggio illuminato, pubblicato in occasione della mostra, Reggio Emilia, 18 ottobre – 8 novembre 2008, Festival dell’Architettura, 4, Parma, Festival dell’Architettura Edizioni 2008, pp. 94-98).

 

1 Per un approfondimento sull’architettura religiosa si vedano: Architettura e spazio sacro nella modernità, cura di P. Gennaro, Milano, Editrice Abitare Segesta 1992, catalogo della mostra di Venezia, Antichi granai alla Giudecca, 4 dicembre 1992 - 6 gennaio 1993; A. Carnoldi, L’architettura dell’edificio sacro, Roma, Officina Edizioni 1995.

2 A. Rossi, L'architettura della città, Milano, CittàStudi 1987, p. 193. (ed. orig. Padova, Marsilio 1966).

3 Monumento in memoria dello sterminio degli Ebrei in Europa in Peter Eisenman. Contropiede, a cura di S. Cassarà, Milano, Skira 2005, catalogo della mostra, Modena, Auditorium G. Monzani, 18 giugno-17 luglio 2005, p. 152.

4 Ibidem, p. 154.

5 F. Dal Co, Il Memoriale di Peter Eisenman a Berlino per gli Ebrei d’Europa assassinati. Esistere nell’assenza dei nomi, in “Casabella”, n° 735, luglio-agosto 2005, p. 7.

6 S. Stephens, Immaginare Ground Zero. Progetti e proposte per l’area del World Trade Center, New York, Architectural Record 2004.

7 M. Agnoletto, Groundzero.exe. Costruire il vuoto, Bologna, Edizioni Kappa 2004, pp. 71-75.

8 K. Lynch, What time is this place?, The Massachusetts Institute of Technology 1972, ed it. Consult., Il tempo dello spazio, Milano, Il Saggiatore 1977, p. 104.

9 Ibidem, p. 109.

10 Ibidem, p. 108.

11 Il progetto è affidato ad una ditta italiana, la Space Cannon di Fubine in provincia di Alessandria (Gruppo Zumtobel). Tutti i progetti su http://www.spacecannon.it/

12 A. Farkas, “Sei mesi dopo New York accende le torri di luce”, in Corriere della Sera, lunedì 11 marzo 2002, anno 41, n. 10.

13 L’installazione è da subito alla ribalta mediatica e viene ripresa anche da Spike Lee nel film “La 25a ora” (2002).

14 

16 J. LaVerdiere, op. cit., pp.110-111.

17 A Story of Light and Color, in “Official World's Fair Weekly, Week Ending September 23, Vol. 1 No. 3, p. 5.

18 H. Sedlmayr, La luce nelle sue manifestazioni artistiche, Palermo, Aesthetica 1989, p. 51.

19 M. Protetch, A New World Trade Center: Design Proposals from Leading Architects Worldwide, New York, Regan Books 2002.

20 J. Baudrillard, Architettura e vuoto, arte e vita, a cura di L. Mascheroni, in “Domus”, novembre 2006, p. 82.

21 W. Benjamin, Das Passagen-Werk, hrsg. von Rolf Tiedemann, Frankfurt am Main, 1982, ed. it. I passages di Parigi, Torino, Einaudi 2000.

22 Commento a un articolo della versione on line del New York Times, D. W. Dunlap, Dress Rehearsal in Light, 10 settembre 2008. http://cityroom.blogs.nytimes.com/2008/09/10/dress-rehearsal-in-light/, consultato 14/09/2008.

23 R. Koolhass, Delirious New York, Milano, Electa 2001, p. 131.

24 Realizzata anch’essa dalla ditta Space Cannon (Gruppo Zumtobel).

25 I. Calvino, Le città invisibili, Milano, Oscar Mondadori 2005, p. 7.

 

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