Bruno Munari e le proiezioni |
Scritto da Daniela Lussana | |
Bruno Munari è stato artista, designer, scrittore, docente… in questo uomo possiamo ritrovare un ricercatore, uno sperimentatore. Nulla viene fatto approssimativamente, tutto ha finalità di studio, di osservazione ed ogni campo da lui affrontato non contrasta l’altro. Dopo un iniziale approccio al futurismo, in particolare all’ambito dell’Aeropittura, Munari spazia utilizzando molteplici tecniche e materiali, viene ricordato per: la “macchina inutile”, l’”ora x”, la “scimmia Zizì”, “sculture da viaggio”, “abitacolo”…. Ci focalizziamo su Munari perché esso sperimentò anche con la luce, i suoi primi approcci con quest’ultima sono degli inizi degli anni ’50. Sono dei vetrini di diapositive che gli permisero di creare degli ambienti di luce. All’interno di due comuni vetri da diapositiva venivano da lui inseriti pezzetti di plastica colorata, opaca o trasparente, pezzi di materiale organico o chimico, reticolati, fili, fibre,… divenivano così dei piccoli quadri dalle sembianze astratte che rendeva in seguito monumentali nel momento in cui li inseriva nel proiettore che, tramite la luce, li propagava in tutto l’ambiente. E’ chiara ed esaustiva la frase utilizzata da Munari in merito a questa opera: “con un piccolo vetrino poi affrescare una cupola”. L’artista, che con queste opere si può ritenere anticipatore delle videoinstallazioni multimediali, non si fermò a questo, la sua evoluzione proseguì. Volse la sua attenzione prima verso proiezioni multifocali (con vetrini che permettevano differenti messe a fuoco) ed in seguito verso proiezioni polarizzate, quest’ultima con il fine di ottenere la scomposizione della luce in colori puri tramite l’inserimento di materiale stratificato tra filtri di polaroid.
Munari ha saputo sfruttare al meglio le potenzialità della luce a talpunto da reinventarla come mezzo artistico e di decoro, ma non tramite oggetti di luce, ma come pura luce. Manifestazioni luminose pure e dirette. E’ con questi lavori che ricerca anche con il mezzo filmico, ricordiamo il film sperimentale “i colori della luce” girato nel 1963 con Marcello Piccardo (con cui nel 1962 fonderà lo “Studio di Monte Olimpino”, un Laboratorio di cinema sperimentale). In merito alle opere di luce di Munari, non possiamo non menzionare la sua collaborazione con Piero Castiglioni al Teatro Comunale di Firenze nel 1979. Venne richiesta all’artista la progettazione di uno spettacolo di luce per la sinfonia di Scriabin “Prometeo”, esso per l’occasione richiese la collaborazione dell’esperto Castiglioni per creare un gioco di luci sullo sfondo del palcoscenico, dove molti colori venivano creati senza l'ausilio di gelatine colorate ma solo attraverso il colore prodotto da svariate fonti di luce. Vennero utilizzate stufe, saldatrici, lampade al sodio, ecc. Munari ha utilizzato la luce in relazione all'ambiente, mentre negli stessi anni Lucio Fontana la utilizzava in relazione allo spazio. Munari aveva un approccio più sensazionale, tale da regalare emozioni agli spettatori, mentre Fontana più segnico, tangibili segni luminosi ottenuti tramite tubi al neon modellati. Per Munari sperimentare era un gioco. |
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