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Piero Fogliati: Fotofoneide PDF Stampa E-mail
Scritto da Elena Forin   

complesso fonocontinuo, 1973Ogni mostra di Piero Fogliati è come se andasse a comporre un unico mondo e un’unica grande opera, quasi come se le suggestioni di ogni singolo lavoro fossero parte di un discorso sempre più ampio che attraversa l’ambiente e tocca l’individuo. Da sempre la sua poesia mi ha lasciata senza parole anche nelle opere più fredde o in quelle più rigorosamente silenziose, e da sempre credo che uno dei suoi più grandi insegnamenti alle persone sia quello di educare allo stupore tramite gli elementi più normali del nostro vivere. Non cerca l’effetto, non carica di eccessi, ma solo vive le cose con uno sguardo che lascia trapelare la freschezza di un giovane nei confronti della vita, anche ora che ha 80 anni e che ha alle spalle un ormai lungo percorso nel mondo della ricerca.

La mostra al Castello di Giarole (AL) è piena di questa freschezza, di questo delicato commuoversi di fronte ad un suono o ad una luce, di un imparare a guardare le cose vedendone altri risvolti, e di una sensazione che va poco alla volta crescendo e che è corroborata dalla concretezza delle macchine.

Non si tratta di semplici apparizioni, né di percezioni illusorie, ma di eventi che accadono e lasciano la traccia di un inevitabile cambiamento, come nel caso della Macchina per produrre fantasmi, a Giarole collocata nella camera da letto del castello, e che produce una luce calda nel buio e una forma che si proietta come immagine concretamente mentale.

dittero solitario, 1995

Non ci sono parole per descrivere il concerto di quello che sembra essere un grillo (Complesso fonocontinuo), il suono di una natura che mai è stata così reale come nel salottino in cui la macchina è stata collocata, e che riporta alla mente le immagini di un quadro, l’ambientazione di un libro e la melodia di un notturno distolto soltanto dal sottofondo lontano di un inesorabile e indecifrabile gorgoglio. Si tratta anche in questo caso di un suono naturale e sconosciuto, forse di qualcosa che proviene dalle viscere della terra e che è stato purificato dall’acqua: le Latomie raccontano questo e molto altro, rappresentano un coro a più voci di cui raccolgono la pluralità e rapiscono in un continuo spostamento tra una fonte e l’altra generando la sensazione di uno stemperamento che dissolve il suono e lo rende più intrigante.

macchina per produrre fantasmi, 1968

In questa mostra tuttavia sono presenti anche opere dal valore concettuale che va a toccare la percezione e che porta a una riconsiderazione della natura stessa dell’arte e delle immagini. Fotofoneide ad esempio ne opera una duplicazione attraverso il gioco dei riflessi e porta ad una doppia lettura in chiave oggettuale di ciò che realmente si vede. Il cerchio che fluttua nell’aria, Euritmia evoluente, è una forma in movimento che crea l’illusione della sospensione anche se questa è in realtà fallace, e Dittero solitario educa al silenzio tramite il frastuono paradossale prodotto dallo sbattere di un’asticella di ferro sul pavimento. Il rumore è fastidioso, ma il movimento della fettuccia occupa uno spazio e ipnotizza con la magica ripetizione di un banale movimento. Si aspetta bramosamente la sospensione di questo fastidio, ma quando questa arriva il vuoto del silenzio diventa quasi intollerabile, quasi fosse una dimensione palpabile dello spazio che sconvolge e destabilizza.

disegno complesso fonocontinuo, 2009

L’alternarsi di questi pieni e vuoti è un aspetto che sempre più mi attrae della sua ricerca, ed è strano, credo, arrivare a questa percezione solo adesso: le Fissazioni, i progetti da cui nascono le opere partono dal racconto di questa dimensione, la lasciano libera, e la riempiono solo con qualche tratto, eppure riescono a lasciar trapelare il senso di qualcosa che si insinua e che espande le linee. Lo spazio e l’aria sembrano spessi, e raccontano un ambiente quasi ovale, distorto dalla forza di qualche cosa che pare non esserci e invece c’è. Faccio fatica a dare un nome a questo qualcosa: condivido con altri critici l’impossibilità a dare definizioni che etichettino la sua appartenenza a gruppi o filoni perché in fondo quello di Fogliati mi sembra un racconto completamente autonomo della storia dell’arte del Novecento. Forse è anche per questa difficoltà che alle volte evidentemente spaventa, che questo artista non ha ancora avuto il giusto sostegno e riconoscimento: non è un cinetico perché il lavoro sulla percezione non è puro e neanche giocoso. Non è processuale anche se ciò che conta è ciò che le macchine producono (la relazione esiste con la macchina anche se è secondaria: essa garantisce la concretezza, ne testimonia, la presenza e ha un’aderenza reale.

 latomie trio, 1989

La sua connotazione estetica è abbastanza neutra, ma non totalmente neutrale per la produzione dell’effetto; inoltre l’effetto non è consequenziale, è semplicemente uno sviluppo). Non è poverista nonostante la purezza delle forme perché c’è troppa poesia, troppa delicatezza e troppa commozione, eppure ciò che è certo è che questo artista ha un potere e una forza necessaria a se stessa. È una indagine che si muove con lo stesso vigore e la stessa intensità da oltre 50 anni, e che produce opere che hanno un impatto sconvolgente su chiunque si avvicini, che non può credere di non conoscere un artista di tale spessore. In questo sta forse la sua unica possibile definizione: Fogliati è un artista singolo nato in un’epoca di gruppi, ed è uno di quegli artisti che insegnano il presente come un valore al di fuori del tempo.

 

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