Lighting Designer, identità di una professione |
Scritto da Francesca Calani | |
Tema quanto mai attuale e controverso di un mestiere, che all’estero ha già trovato riconoscimento, se non istituzionale, almeno a livello culturale. Il Lighting Designer è una figura professionale nuova, nata per colmare un’esigenza sempre più sentita, dovuta all’evoluzione culturale a cui stiamo assistendo. La luce è diventata una materia più complessa, che se storicamente veniva colta dal punto di vista funzionale, essenzialmente come “luce per vedere”, ora sta acquisendo nuovi significati, in termini di comfort e capacità percettiva, con la tendenza in atto a diventare qualcosa di ancora più importante, perché capace di influenzare a livello biologico il benessere fisico e psicologico, che è legato agli ambienti in cui viviamo. Numerose realtà legate al mondo del Design della Luce vogliono confrontarsi in sede pubblica, per discutere sulla professione del Lighting Designer, la sua definizione e il suo riconoscimento istituzionale. Non ci sono dubbi che il riconoscimento istituzionale della professione del Lighting Designer sia indispensabile per garantire professionalità, qualità e sicurezza, in un sistema italiano per cui è difficilissimo proporsi come professionisti della luce indipendenti, a causa di mancanza di cultura della luce e di pressioni di aziende, che antepongono il business alla qualità progettuale. Non esiste l’obbligatorietà di un progetto illuminotecnico nemmeno nei casi in cui un’errata illuminazione possa risultare dannosa ed è inaccettabile, ad esempio, che in un museo si possa trovare un dipinto di Leonardo esposto a 650 lux (da misurazioni effettuate) soprattutto in un paese come l’Italia che detiene tra il 60 e il 70% dei beni culturali mondiali (stime dell’UNESCO). Il progettista della luce non viene quasi mai interessato nelle fasi di progettazione, ma nella migliore delle ipotesi viene chiamato a intervenire a posteriori, costretto praticamente a “rimediare” ad una situazione di fatto. Questa nuova professione è ancora alla ricerca di una definizione, di identità e regole per cui la professionalità possa essere garantita, mettendo ordine alla situazione nazionale di categoria che oggi si presenta confusa, disomogenea e dalle molte ramificazioni. Gli ambiti di applicazione sono infatti numerosi e apparentemente molto diversi tra loro, andando dall’illuminazione dei beni culturali, a quella architetturale di interni ed esterni (quindi anche territoriale ed urbanistica), a quella dello spettacolo (teatro, live show, moda, televisione, cinema) e dell’intrattenimento (nelle sue svariate applicazioni). Ciascun ambito di competenza richiede diverse abilità professionali e di conseguenza percorsi formativi differenziati, ma presenta simili problematiche, come per esempio la tutela della professione e il riconoscimento del diritto d’autore. L’illuminotecnica è una disciplina complessa, che richiede creatività artistica, ma soprattutto una solida preparazione tecnica e specifiche competenze, nonché uno sforzo continuo di aggiornamento. Per diffondere la cultura della luce bisogna partire dai giovani, istituendo un meccanismo formativo articolato nelle varie specializzazioni, che venga riconosciuto dallo Stato e si concluda col praticantato, parte integrante e fondamentale di una seria formazione, perché la professionalità non può più essere relegata esclusivamente alla buona volontà di autodidatti. Un tale meccanismo sarebbe automaticamente attivato se esistesse un Albo professionale dei “Lighting Designers”, inteso come categoria nuova e omnicomprensiva di tutte quelle discipline che operano con la luce. Inoltre l’iscrizione agli Albi provinciali comporterebbe automaticamente il riconoscimento del diritto d’autore, oltre a sancire un meccanismo di regole, che potrebbero tutelare il lavoro del Lighting Designer anche nei confronti della committenza. Mentre all’estero esiste un Project Manager che coordina tutte le figure professionali necessarie in un team di progettazione, in Italia a dirigere il progetto è ancora l’architetto, che si limita a chiamare uno strutturista ed un impiantista. Anche se un Lighting Designer per l’illuminotecnica, uno Scenotecnico per le aree tecniche e un Sound Designer per l’elettroacustica fossero fondamentali in un progetto, come ad esempio di un teatro, in Italia nessuna di queste figure professionali verrebbe interessata alla co-progettazione, perché ogni esperto dovrebbe essere titolato con la relativa iscrizione ad un Albo.
Da questo Convegno Nazionale è emersa una proposta, che verrà vagliata, discussa ed elaborata prossimamente, che consiste nell’istituire una Federazione-Associazione di associazioni, che raccolga al suo interno, non solo la categoria unica dei Lighting Designers, ma tutte le associazioni che rappresentano le varie macro tipologie dei soggetti interessati al mondo dell’illuminazione, quali installatori e tecnici specializzati, produttori e distributori, sindacati, addetti alla formazione. La disciplina illuminotecnica evolve diventando sempre più complessa, tanto che ormai non si può più prescindere da un costante dialogo tra le parti e in questo senso tale raggruppamento di associazioni metterebbe in atto un meccanismo capace di dare garanzie a tutti, per esempio chi produce troverebbe un alveo in grado di assimilare la produzione e un Lighting Designer potrebbe richiedere attrezzature specifiche per le proprie esigenze o appoggiarsi ad un esperto in sistemi di controllo degli impianti. Una pragmatica soluzione, per dare riconoscimento professionale ai Lighting Designers, è stata trovata osservando che, nella categoria dei progettisti della luce, insistono problematiche civilistiche e laburistiche molto simili a quelle che coinvolgono le varie categorie dei lavoratori dello spettacolo, che sono sempre meno considerati. Tali tematiche sono state affrontate già da oltre 20 anni dai movimenti sindacali, nell’elaborazione di una proposta di “Testo Unificato adottato come Testo Base” (C.195, ex C.4709 Gasperoni)1, per normare il lavoro delle figure professionali dello “spettacolo e intrattenimento”. L’unione delle forze creerebbe una massa critica capace di definire almeno una Categoria professionale generale, per distinguere solo successivamente le varie tipologie, definendo la categoria degli operatori di illuminotecnica, con tutte le relative declinazioni, valutando anche la possibilità di riunire in macro tipologie vari ambiti professionali in modo omogeneo, con lo scopo di attivare meccanismi di formazione, tipologie di contratti, incentivi e altro ancora. I conseguenti vantaggi di una tale azione di “lobbie” (nel senso più positivo e propositivo del termine) sono particolarmente evidenti in termini di massa critica, stimabile intorno a un numero che va da 700.000 a 1.000.000 di soggetti interessati (350.000 contribuenti ENPALS, circa altrettanti INPS, più i liberi professionisti e un numero imprecisato nel lavoro sommerso), che potrebbe riuscire finalmente a dialogare con le Istituzioni e fare in modo che vengano erogate leggi e norme. Tra l’altro la regolamentazione del settore avverrebbe senza richiedere alcun costo o addirittura con un saldo attivo, in quanto comporterebbe la regolarizzazione del lavoro sommerso e dei professionisti di fatto, che formalmente operano come dilettanti. In quest’ottica i problemi legislativi che riguardano il lavoro, come quelli normativi dell’applicazione delle Direttive Comunitarie, la co-progettazione ed altro, con una massa critica di 1.000.000 di persone riunite in un’unica Associazione tramite le rispettive associazioni, difficilmente potrebbero essere ignorati. Fino ad ora le istanze sono state portate avanti da ogni singola associazione, in maniera più o meno autonoma, senza risultati apprezzabili e d’altra parte perseverare nella difesa di logiche corporativistiche o personalistiche appare sempre più una posizione perdente. Citando il Guicciardini “la maggior parte delle persone si chiude in un individualismo poco lungimirante ed è pronta a criticare chi si impegna”, invece bisogna partecipare attivamente e portare ciascuno un contributo derivante dalla conoscenza profonda del proprio orientamento professionale, per arrivare ad esplicitare delle valide istanze. Il legislatore non necessariamente conosce a fondo le problematiche ed il rischio è che la normativa prodotta sia inadeguata o lacunosa, quando non addirittura dannosa alla professione, come è per esempio accaduto nel caso della recente regolamentazione dell’illuminazione urbana tesa a limitare l’inquinamento luminoso, che ha creato un ulteriore irrigidimento normativo, senza considerare le necessarie implicazioni progettuali tecniche e tecnologiche. Questi obiettivi si possono raggiungere solo con una positiva azione di “lobbie”, che deve sapersi concretizzare per essere aggregata e aggregante. Quest’esperimento è già stato fatto con successo da ANIMA, acronimo della Federazione delle “Associazioni Nazionali dell’Industria Meccanica varia ed Affine”, che riesce a difendere gli interessi di circa 200.000 addetti dell'industria meccanica in generale. (si ringrazia per la collaborazone L'Accademia della Luce e il suo presidente Maurizio Gianandrea) |