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La luce e la pittura PDF Stampa E-mail
Scritto da Francesca Marchetti   

Questo è il primo di 3 saggi sulla luce nella pittura e per la pittura. 

Secondo gli autori classici la pittura ebbe origine quando per la prima volta venne tracciato il profilo attorno alla sagoma scura proiettata da un uomo. Da quel giorno, e fino a oggi, i concetti di ombra e luce hanno accompagnato il percorso della pittura sia come strumenti per riprodurre fedelmente il reale sia come elementi simbolici dalla rilevanza sempre maggiore.

Attraverso l’osservazione di opere di importanti maestri (Van Eyck, Caravaggio, Rembrandt, De Chirico, ecc.) e la lettura dei coevi trattati sulle arti, si ripercorreranno le tappe più importanti e significative dell’uso della luce e dell’ombra in pittura, dall’antichità ai giorni nostri”. “Nonostante si voglia far nascere la pittura dall’ombra, in nessuna disciplina intellettuale la lotta con l’ombra è stata più drammatica di quanto lo è stata nella pittura.” (Roberto Casati, La scoperta dell’ombra) Il rapporto tra ombra, luce e oggetti genera la nostra visione della realtà e da sempre i pittori hanno dovuto confrontarsi con esso. Anche i miti che raccontano l’origine della pittura rivelano quanto essa sia legata a luce e ombra. Secondo Plinio il Vecchio, la pittura nasce in Grecia, grazie ad una fanciulla: “…la quale presa d’amore per un giovane, e dovendo questi partire, alla luce di una lanterna fissò con delle linee il contorno dell’ombra del viso di lui” ( Naturalis Historia, XXXV, 15 e 151) In realtà la rappresentazione delle luci e delle ombre è per sua natura assai complessa, e i metodi messi in atto dai pittori per rappresentare fonti di luce, illuminazione, ombre, riflessi ecc…, variano continuamente nella storia della pittura.

Prima del XV secolo era assai raro vedere fonti di luce rappresentate in maniera realistica: nella pittura di icone, originatasi in area bizantina a partire dal sesto secolo dopo Cristo, è il soggetto stesso, santo o divino, a emettere luce, esaltata dal fondo dorato. Il pittore di icone sapeva bene che la luce da lui rappresentata non era la luce del mondo sensibile, ma luce divina, paradisiaca, emanata dalla divinità stessa. Da sempre infatti la luce materiale è raffigurazione della luce spirituale e divina (“Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò timore?” Salmo 27, Libro dei Salmi). Dice san Bonaventura: “Come la luce, Dio è la bellezza di tutte la cose. Propriamente è infatti Dio la luce, e quelle cose che più si accostano a lui più hanno della natura della luce” Questa valenza simbolica della luce si ritrova in ogni cultura e i pittori di ogni epoca si confronteranno con essa.

 

Per quanto riguarda l’arte europea, luci e ombre, prima della definizione di regole geometriche che ne permettessero una raffigurazione corretta, sono state rappresentate per lungo tempo in maniera approssimativa. Caravaggio dipinge con straordinario realismo gli effetti di luce, facendo emergere i suoi personaggi da fondi scuri, che isolano ed esaltano le figure. Nella pittura barocca le ombre sono inghiottite dagli sfondi scuri o esaltate all’estremo nelle scene di notturno: la luce diventa luce di candela, bagliore o riflesso notturno. La pittura settecentesca riscopre la luce diurna e solare e una nuova gamma di colori, schiarendo ogni ombra. Gli impressionisti infine enfatizzano il colore delle ombre, osservando che solo raramente sono grigie, e che esse esibiscono il più delle volte delle tinte che possono variare a seconda dei colori dell’ambiente circostante. Sarà la pittura fiamminga a rappresentare per la prima volta con straordinaria precisione la fonte di illuminazione nella scena dipinta. L’applicazione delle conoscenze sulla rifrazione e la riflessione, nella pittura fiamminga non è solo espressione di realismo pittorico: l’ottica diventa quasi un linguaggio, una traccia che guida lo sguardo dell’osservatore in una sorta di viaggio ottico attraverso gli effetti di ombre, riflessi e rifrazioni. Ma luci e ombre, anche se rappresentate in maniera incoerente prima delle scoperte dell’ottica e della prospettiva, hanno da sempre aiutato i pittori a rendere più realistici gli oggetti e lo spazio dipinti. I pittori della casa dell’imperatore Augusto sul Palatino a Roma usarono le ombre per rinforzare l’illusione dello spazio. Non conoscevano le leggi della proiezione dell’ombra e le loro ombre sono quindi incoerenti, non considerano la presenza di una fonte di luce e assumono forme impossibili. Ma ottengono l’effetto voluto, dando profondità all’immagine. All’inizio del Quattrocento, il pittore fiorentino Cennino Cennini, autore di un celebre trattato di pittura, il Libro dell’Arte, considera la stesura delle ombreggiature e dei lumi uno dei rudimenti più importanti per la formazione del pittore. Si tratta del saper realizzare ombre incorporate e parti illuminate, che permettono al pittore di rendere il volume ed il rilievo, dipingendo con tre gradazioni di colore: chiaro per la parte illuminata, intermedio per la transizione, scuro per la parte in ombra. Ma il Cennini non lascia indicazioni riguardo alla realizzazione delle ombre portate, mostrandoci così come i pittori della sua generazione dovessero risolvere in modo intuitivo il problema della loro rappresentazione, realizzando a volte macchie scure poste sotto i piedi dei personaggi, che non hanno un rapporto con la forma che le produce, ma permettono di dare pesantezza e consistenza a corpi che altrimenti sembrerebbero sospesi nello spazio. Sarà Masaccio (negli affreschi della Cappella Brancacci dipinti intorno al 1422) il primo a rappresentare, in modo quasi sistematico, ombre incorporate e ombre portate ricorrendo alle nuove regole della rappresentazione prospettica. Masaccio presta particolare attenzione alle ombre dei personaggi che si proiettano sul suolo, trascurando a volte le ombre di edifici e altri oggetti e le ombre portate proiettate su superfici verticali. Ma i suoi dipinti sono comunque estremamente innovativi: i corpi acquistano peso e consistenza grazie alla capacità del pittore di rappresentarne l’ombra.

(si ringrazia per la collaborazone L'Accademia della Luce e il suo presidente Maurizio Gianandrea)

 

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